D’Angelo incanta Roma - La recensione
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D’Angelo incanta Roma - La recensione

Il geniale artista di Richmond ha regalato un concerto indimenticabile alla Cavea dell’Auditoium

Per una volta facciamo un’eccezione e partiamo direttamente dalla fine, con il voto del concerto di D’Angelo alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma: 10.

Abbiamo la fortuna di assistere a decine di concerti di grandi artisti internazionali, ma si contano sulle dita di una mano, al massimo due, le esibizioni che ti fanno cantare, ballare, divertire, riflettere e commuovere senza mai una pausa, un passaggio a vuoto o un momento di stanchezza.

Al termine dello show le  facce dei fortunati spettatori di ieri sera, che tradivano un misto di stupore, allegria ed eccitazione, fotografano meglio di mille parole l’esperienza di un'esibizione che è andata oltre ogni rosea aspettativa, mostrando un artista in stato di grazia, sorretto da una band fenomenale che ha fatto la gioia degli appassionati di musica black e, più in generale, di musica di qualità. Quella vera, suonata con muscoli, cuore ed anima, senza ricorrere alle “correzioni” digitali che oggi imperversano nella musica pop.

Emblematica, in questo senso, è la postilla che si trova nel booklet di Black Messiah, l’ultimo album di D’Angelo, uscito a sorpresa il 15 dicembre 2014 dopo 14 anni di attesa dal pluripremiato Voodoo: “Per la registrazione non sono stati utilizzati plug-in digitali. Tutta l’elaborazione, gli effetti, il missaggio e la registrazione sono stati effettuati in analogico, su nastro, prevalentemente con strumentazione vintage”.

Il risultato è un album incredibilmente caldo, sensuale e vibrante, tra denuncia politica e celebrazione del potere salvifico dell’amore. Per Black Messiah si sono scomodati paragoni impegnativi: da What’s Going On di Marvin Gaye a There’s a Riot Goin’ On di Sly and The Family Stone, da Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles a Pet Sounds dei Beach Boys. Pietre miliari del rock e dell’r&b, accanto ai quali non sfigura affatto il disco del geniale artista di Richmond, soprattutto per la capacità di creare un sound unico(Pet Sounds) e per certi versi rivoluzionario( Sgt.Pepper), tra urgenza politica(There’s a Riot Goin’ On) e denuncia sociale (What’s Going On).

Premesse necessarie per far capire l’enorme attesa che c’era per il primo concerto italiano, dopo oltre un decennio segnato da problemi personali e di droga, di quello che è considerato l’unico vero erede di Prince, con il quale condivide la medesima visione musicale che mescola in un unico magma sonoro soul, funk, rock, r&b, hip hop e jazz.

Nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica spiccavano diversi posti liberi nelle due zone laterali, sia in parterre che in tribuna, un vero peccato che conferma, purtroppo, ancora una volta una certa pigrizia mentale del pubblico italiano, più a suo agio con le melodie strappacuore di Nino D’Angelo che non con il suo quasi omonimo collega americano.

In compenso gli spettatori presenti erano  preparati e motivati, soprattutto per la lunghissima attesa di ben 14 anni dal tour precedente di Michael Eugene Archer(questo il suo vero nome), che è stato accolto con un calore pari, se non superiore alle temperature subsariane di questi giorni.

Alle 21.10, dopo l’ingresso dei The Vanguard, l’eccellente line up line up composta da Chris Dave, Pino Palladino, Jesse Johnson, Isaiah Sharkey, Kendra Foster e Cleo "Pookie" Sample, fa il suo ingresso il “black messiah” D’Angelo, cappello bianco e un lungo impermeabile pieno di strappi che mal si conciliava con i 30 gradi di ieri sera.

L’inizio è affidato a Ain’t that easy, il brano d’apertura di Black Messiah, un funk torrenziale e pischedelico in pieno stile Funkadelic, scandito da un’irresistibile ritmica hip hop che rende quali impossibile stare fermi.

D’Angelo nota che il pubblico è frenato e lo incita ad alzarsi in piedi: dopo pochi secondi buona parte del parterre si ritrova sotto al palco a cantare e a ballare a pochi metri dal suo beniamino(noi compresi).

L’artista è rilassato e sorridente, forse stupito dal grandissimo affetto del pubblico romano, che già conosce ogni strofa del nuovo album, nonostante un’assenza così prolungata dal nostro paese. La voce del cantante è sempre splendida, intensa ed espressiva, supportata al meglio dai tre coristi nei consueti impasti vocali che caratterizzano la sua musica.

Convince anche Betray my heart, brano dal sapore quasi jazzato con continui stop and go e una struttura quasi ellittica nella quale le variazioni sul riff procedono per linee orizzontali. Un perfetto esempio di come una canzone possa essere fisicamente coinvolgente per il suo groove e strumentalmente raffinatissima.

Si torna indietro nel tempo di 14 anni con Spanish joint, una delle numerose perle di Voodoo del 2000, per poi tornare di nuovo a Black Messiah con quello che, a nostro parere, è uno dei brani più belli dell’album, la ballad Really Love. Un vero e proprio capolavoro, tra il latin rock di Carlos Santana e la sensualità soul del Marvin Gaye di Let’s get it on. Le calorose fan del cantante sono letteralmente in estasi di fronte a una interpretazione così appassionata e al tempo stesso elegante di D’Angelo, una vera delizia per i padiglioni auricolari.

The Charade è un brano tipicamente da Prince, con un muro del suono che diventa via via più denso e coinvolgente.

Entusiasmo alle stelle con Brown Sugar, tiltle track del suo album d’esordio del 1995, scandita da una saltellante ritmica hip hop dalla quale è impossibile non lasciarsi contagiare.

Sugah Daddy è un funky bollente e ipnotico, nel quale D’Angelo, in grande forma fisica, rivela tutto il suo amore per James Brown, sia nelle movenze scattanti che nelle caratteristiche urla lancinanti.

Si spengono le luci e i musicisti si ritirano nei camerini per una breve pausa. Il bis si apre con un assolo di batteria, che introduce la monumentale Untitled(How does it feel), giustamente premiata nel 2001 con un Grammy Award per Best Male R&B Vocal Performance. Chissà quanti quindicenni di oggi sono stati concepiti ascoltando questa canzone, una delle più sensuali e provocanti degli ultimi trent’anni.

D’Angelo cerca di iniziare a cantare la prima strofa, ma si interrompe, una, due, tre volte, come bloccato dall’emozione(anche qui è evidente l’omaggio alle pantomime di James Brown).

Il brano si prolunga per quasi dieci minuti, durante i quali tutti i musicisti, dopo un applauditissimo assolo, si congedano dal pubblico.

Alla fine restano solo il bassista Pino Palladino, idolo del pubblico italiano per le sue evidenti origini italiane e D’Angelo alle tastiere.

Quando rimane solo l’artista di Richmond a suonare e a cantare, si è creata ormai un’intimità e una magia con il pubblico che è difficile da descrivere. “Grazie Roma -si congeda D’Angelo-siete stati un pubblico fantastico, spero di rivedervi presto, peace and love”.

Stasera si replica all’Estathe Market Sound di Milano(Via Cesare Lombroso 54, ore 20.30). Un consiglio agli amici milanesi: non perdetevi questo concerto per nessun motivo al mondo.

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Gabriele Antonucci