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Economia

Tutte le imposte dirette per il welfare, e non bastano

Il difficile finanziamento di pensioni, sanità, assistenza. Necessario investire le poche risorse disponibili in ricerca, sviluppo e sostegno all’occupazione per garantire il futuro delle prestazioni sociali

Tutte quanto entra nelle casse dello Stato dalle imposte dirette serve per il welfare. E neanche basta.

Nel 2016 per pensioni, sanità e assistenza, è stato necessario attingere a tutte le imposte dirette, ma poiché rimaneva a un disavanzo di 38,1 miliardi, è stato necessario ricorrere anche alle imposte indirette (come Iva e accise).

E mentre la spesa per il welfare aumenta, si riduce il finanziamento a mezzo di Irpef ordinaria.

È quanto emerge dall'approfondimento “Dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef 2016 per importi, tipologie di contribuenti e territori e analisi Irap” realizzato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, diretto da Alberto Brambilla, con il sostegno di Cida.

Nel 2016 la spesa complessiva per pensioni, sanità e assistenza è stata di 451,903 miliardi di euro contro i 447,36 miliardi del 2015 (+4,5 miliardi pari al +1% circa): pari a 181,225 miliardi di euro (176,303 nel 2015, con una crescita del 2,75%) la quota finanziata da contributi sociali versati dalla produzione, a fronte di una restante quota pari a circa 270,678 da erogare ricorrendo alla fiscalità generale (e quindi ricorrendo alle tasse pagate).

Il risultato? Per finanziare la spesa per la protezione sociale sono occorse anche tutte le imposte dirette - l’Irpef (ordinaria, regionale e comunale), l’intero importo di Ires, Isos e Irap – e ulteriori 40,1 miliardi (34,5 nel 2015). Se di questo importo 32,5 miliardi derivano da contribuzioni Inail e altre prestazioni temporanee, i restanti 7,6 miliardi sono da ricavare attingendo alle imposte indirette, vale a dire Iva e accise.

Il finanziamento del sistema di welfare state italiano è sempre più difficile tanto che Alberto Brambilla spiega: "Se si vuole mantenere un welfare che possa garantire anche in futuro la coesione sociale e la copertura dei più deboli è fondamentale allora affiancare a un serrato controllo della spesa assistenziale anche un accorto monitoraggio delle entrate fiscali e segnatamente dell’Irpef. E, ancor di più, investire le poche risorse disponibili in ricerca, sviluppo e sostegno all’occupazione".

Una situazione indubbiamente difficile, commenta Brambilla, autore della ricerca insieme a Paolo Novati, e che lo diventa ancor di più "se si considera che il nostro Paese non vive uno dei suoi momenti migliori neppure sotto i profili di finanza pubblica, occupazione e produttività. Nonostante le varie proposte riguardanti l’aumento delle prestazioni sociali, i dati evidenziano infatti come l’Italia sia già in grande difficoltà nel mantenere il proprio sistema di welfare state".

Una domanda diventa allora inevitabile, sottolinea Brambilla (che è stato anche sottosegretario al Lavoro): "Se la maggior parte delle risorse sono impiegate nel finanziamento di pensioni, sanità e assistenza, con quali mezzi rilanciare lo sviluppo del Paese? Ecco perché paiono stridenti tutte le proposte che vanno verso un aumento delle prestazioni sociali, tanto più che negli ultimi anni la situazione non è affatto migliorata".

Basti pensare che, come evidenziato dai dati del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, la spesa per assistenza finanziata dalla fiscalità generale è passata dai 92,7 miliardi del 2013 agli stimati 112 miliardi di fine 2017, con un incremento annuo del 5,3% ancor meno sostenibile per un’economia fragile come quella italiana.

Il tutto, senza peraltro dimenticare che, nello stesso periodo, malgrado un risparmio di circa 76 miliardi di interesse sul debito pubblico dovuto al quantitative easing della Bce, il debito è comunque aumentato di 215 miliardi.

COME SI FINANZIA IL WELFARE?

Ma chi paga l’Irpef e come si finanzia quindi il “generoso” sistema di welfare italiano? Nel dettaglio, il totale dei redditi 2016 dichiarati ai fini Irpef tramite i modelli 770, Unico e 730 ammonta a 842,977 miliardi di euro, 10 in più rispetto al 2015, con un incremento di circa l’1,2%, e 25,7 in più rispetto al 2014.

Su questi redditi sono stati complessivamente versati ai fini Irpef 163,377 miliardi di euro (al netto del bonus da 80 euro, di cui beneficiano ben 11.468.245 di contribuenti, per uno sconto totale sull’Irpef pari a 9,367 miliardi di euro), rispetto ai 162,750 miliardi dell’anno precedente, dei quali 146,680 - pari all’89,78% del totale - per Irpef ordinaria, 11,948 miliardi per l’addizionale regionale - pari al 7,31% del totale - e 4,749 miliardi - pari al 2,91% del totale - per l’addizionale comunale (stabili rispetto al 2015).

Fatto 100 il totale dei redditi e l’Irpef dichiarata nel 2008, nel 2016 i valori sono pari rispettivamente a 107,72 e 103,77. Se non ci fosse stato il bonus Renzi, le imposte avrebbero raggiunto il valore di 109,72.

In pratica, mentre la spesa per il welfare aumenta, si riduce di circa 6,448 miliardi il finanziamento a mezzo di Irpef ordinaria.

CHI PAGA?

Ecco perché non di minore interesse i dati riguardanti i dichiaranti, cui corrispondono in media 1,482 abitanti (che nella maggior parte dei casi indicano la quota di persone a carico). Nel dettaglio, su 60.589.445 cittadini residenti al 31/12/2016 quelli che hanno presentato la dichiarazione dei redditi (contribuenti/dichiaranti) sono stati 40.872.080: il valore è in crescita (+101.803) rispetto all’anno precedente, ma diminuiscono di 97.128 unità i contribuenti/versanti, vale a dire quelli che versano almeno 1 euro di Irpef (30.781.688 nel 2016).

Sintetizzando, aumentano sì i redditi e i dichiaranti, ma diminuiscono quanti versano almeno un euro di Irpef e l’ammontare totale dell’Irpef versata.

In particolare, dall’analisi delle due fasce di reddito più basse (rispettivamente, fino a 7.500 euro e da 7.500 a 15.000 euro) emerge che i contribuenti che vi rientrano sono 18.357.865 (di cui 6 milioni circa di pensionati), vale a dire il 44,92% del totale che, nel complesso, contribuisce pagando solo il 2,82% di tutta l’Irpef.

Il valore risulta oltretutto in diminuzione rispetto al 2015 (la differenza è del 3,13%, sempre al netto del bonus Renzi. Nel dettaglio,

  • i 9,89 milioni di contribuenti che dichiarano redditi fino a 7.500 euro, cui corrispondono 14,66 milioni di abitanti, pagano 41 euro l'anno di Irpef, che diventano 28 euro se si considera la media pro capite per abitante, e si può quindi considerare completamente a carico degli altri contribuenti;
  • gli 8,467 milioni che dichiarano da 7.500 a 15.000 euro lordi l’anno (cui corrispondono 12,55 milioni di abitanti), pagano invece un’Irpef media di 496 euro l’anno, che diventano 335 considerando il pro capite (sempre al netto del bonus).

"Da rilevare che, nel complesso, considerando le detrazioni, – spiega Brambilla - questi contribuenti (pari a 27,214 milioni di abitanti), pagano in media circa 169,5 euro l’anno e, si suppone, pochissimi contributi sociali, con gravi ripercussioni sulla tenuta del sistema previdenziale e sulla futura coesione sociale del Paese. Per dare un’idea, basterà tenere conto che la sola spesa sanitaria nazionale pro-capite è pari a circa 1.857 euro annui, e per questi primi 2 scaglioni di reddito la differenza tra l’Irpef versata e il solo costo della sanità ammonta a 49,3 miliardi, che sono di fatto a carico degli altri contribuenti. Volendo allora lanciare una provocazione si potrebbe dire che la flat tax l’abbiamo già, ma ciò è possibile solo perché c’è chi poi di fatto sostiene l’intero sistema: un’enorme redistribuzione dei redditi, che rappresenta un elemento di vulnerabilità per il nostro welfare finora forse troppo sottovalutato".

I REDDITI PIÙ ELEVATI

Venendo dunque all’analisi delle dichiarazioni ai fini Irpef a partire dagli scaglioni di reddito più elevati si evidenzia che - sopra i 300.000 euro si collocano circa 35.677 contribuenti: uno 0,087% che contribuisce al 5,52% dell’Irpef complessiva (5,19% nel 2015);

  • tra i 200.000 e i 300.000 euro si collocano invece lo 0,126% dei contribuenti che versa il 2,89% dell’Irpef.
  • Con redditi lordi sopra i 100 mila euro, lo studio curato del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia infine l’1,10% dei contribuenti (pari a 451.257 contribuenti), che tuttavia coprono da soli il 18,68% (18,17% nel 2015) dell’Irpef. - - Sommando infine a questi scaglioni anche i titolari di redditi lordi superiori a 55.000 euro, si ottiene che il 4,36% dei contribuenti paga il 36,53% di tutta l’Irpef.

I DUE ESTREMI DELLE CLASSI DI REDDITO

Non solo, si può inoltre rilevare che, mentre per tutte queste classi di reddito il carico fiscale riferito al 2016 è aumentato, quello a carico delle prime due fasce è diminuito rispetto agli anni precedenti. “Il vero paradosso del sistema – commenta Alberto Brambilla – va proprio rilevato tra questi due estremi delle classi di reddito dichiarato: il 44,92% dei cittadini paga solo il 2,82% ** mentre il **12,09% ne paga ben il 57,11% (56,66% nel 2015).

PAESE RASSEGNATO

Una fotografia da Paese rassegnato, e non certo del rango G7, che sta mettendo in particolar modo alla prova la cosiddetta classe media, spesso costretta a pagare più tasse per sopperire alla massa che non le paga".

D’altra parte, le dichiarazioni dei redditi ai fini Irpef presentate lo scorso anno sottolineano il perdurare di una situazione di criticità nell’impianto fiscale italiano, imputabili secondo Itinerari Previdenziali ad almeno due ragioni:

  • la prima è da individuare nel sistema che, lungi dal far emergere i redditi, sembra piuttosto incentivare a dichiarare il meno possibile, così da poter usufruire delle agevolazioni fiscali e dei benefici collegati al reddito, che Stato, Regioni ed Enti locali erogano di fatto sulla base di quanto si dichiara, spesso tramite un Isee facilmente aggirabile, e in assenza di una banca dati nazionale dell’assistenza;
  • la seconda, invece, nella somma di alte aliquote fiscali sui redditi con doppia progressività che, abbinate ad alte imposte indirette, in primis l’Iva, incentivano a pagare in modo irregolare.

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a cura di LABITALIA/ADNKRONOS