tpp
MICHAEL BRADLEY/AFP/Getty Images
Economia

Trans-Pacific Partnership: cos'è e come funziona

12 paesi che rappresentano il 40 per cento del commercio globale taglieranno 18mila tariffe per rilanciare gli scambi multilaterali. Boicottando la Cina

Cos'è la Tpp

I ministri del Commercio degli Stati Uniti e di altri 11 paesi del Pacifico hanno firmato in Nuova Zelanda la Trans-Pacific Partnership (Tpp), un accordo di libero scambio che, dal loro punto di vista, dovrebbe aumentare in maniera significativa gli scambi commerciali all'interno dell'area coperta dall'intesa.

Per rendere l'alleanza completamente operativa, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Giappone, Canada, Messico, Australia, Malesia, Singapore, Perù, Cile, Vietnam e Brunei dovranno ora ratificare (possibilmente entro i prossimi due anni) l'accordo internamente. 

Perché non c'è la Cina

La Repubblica popolare cinese è senza dubbio la grande assente in questo accordo. Per alcuni si tratta di una scelta voluta (il patto è stato strutturato in maniera da rendere impossibile la partecipazione di Pechino), per altri i cinesi hanno lavorato sottobanco (e in questo caso avrebbero fallito) per impedire il raggiungimento di un accordo che avrebbe permesso a Washington di rafforzare la propria posizione in Oriente. Fatto sta che la Cina non ne fa parte, e l'impatto di questa esclusione sulla Tpp sarà chiaro solo quando verranno rese note le clausole che regolano il commercio al suo interno. 

Nonostante l'assenza di Pechino, la Tpp copre il 40 per cento del commercio globale. 

La firma a ottobre e i lunghi negoziati

L'accordo sulla Tpp era stato raggiunto ad ottobre dopo lunghissimi e faticosissimi anni di negoziati. Oggi chi lo sostiene afferma che il nuovo accordo aumenterà commercio e benessere per i paesi coinvolti prendendo le difese dei lavoratori e non delle multinazionali. Chi è contrario è invece convinto che il modo in cui è stato strutturato nasconda una valenza più strategica che economica. Condizione, questa, che potrebbe creare pericolose distorsioni sui mercati mondiali. 

Naturalmente è troppo presto per proporre ora un bilancio dell'impatto del nuovo accordo, ma il fatto che il Presidente americano Barack Obama abbia sottolineato come la Tpp consentirà "all'America - e non ad altri paesi come la Cina - di scrivere le regole per la strada del 21esimo secolo, cosa particolarmente importante in una regione dinamica come quella dell'Asia-Pacifico" conferma che l'elemento strategico nella trattativa non è stato certo secondario.

Vantaggi e svantaggi della Tpp

Secondo le ultime stime americane, la Tpp dovrebbe portare a un aumento dell'11 per cento del commercio tra i paesi firmatari, che a sua volta ne stimolerà il Pil di un 1,1 per cento (in media). I paesi che dovrebbero riuscire a trarre maggior vantaggi dal nuovo accordo sono Malesia (+8 per cento del Pil) e Vietnam (+10). 

Molto più contenuti gli stimoli sulle economie di Stati Uniti e Australia, che non dovrebbero superare l'1 per cento. Pare poi che la Tpp possa avere un effetto negativo sulle nazioni che hanno deciso di non aderirvi. Corea del Sud e Thailandia, ad esempio, potrebbero registrare una contrazione del Pil dello 0,3 per cento in conseguenza delle distorsioni economiche e commerciali generate dal nuovo patto. 

Tariffe e settori di riferimento

La Tpp prevede l'eliminazione di una serie di dazi e tariffe e la riduzione di tante altre. In totale, pare che saranno almeno 18mila le quote esistenti che verranno cancellate o riviste. Se i dettagli di questo accordo di 6mila pagine saranno disponibili da analizzare solo tra qualche mese, i settori in cui è stato più facile raggiungere un compromesso sono già utili a capire in che direzione i 12 firmatari si stanno muovendo. 

Automobili

Ai grandi produttori di automobili, e in particolare quelli giapponesi, di certo non mancheranno nuove opportunità di business visto che la riduzione dei dazi permetterà loro di vendere le loro macchine a prezzi inferiori negli Stati Uniti e altrove. Ancora, la possibilità di realizzare vetture importandone le varie componenti a prezzi vantaggiosi dagli altri paesi membri di certo renderà le produzioni di questi paesi più competitive. Da questa dinamica entremamente vantaggiosa non vengono esclusi gli Stati Uniti, che a loro volta si troveranno ad essere liberi di esportare in mercati che, come il Vietnam, hanno mantenuto fino ad oggi tariffe del 70 per cento sulle loro auto.

Agricoltura

Le grandi industrie che operano nel mondo dell'alimentare e che oggi (soprattutto per quel che riguarda quelle statunitensi) soffrono per le tariffe dei mercati asiatici, che a volte superano il 40 per cento, avranno molte nuove opportunità da sfruttare. Anche il commercio della carne, che in nazioni come Giappone, Messico e Canada è frenato da dazi del 10 per cento, dovrebbe ripartire. Per non parlare di chi, come Australia e Nuova Zelanda, commercia latticini, zucchero, vini e riso: in Asia questi prodotti devono sobbarcarsi dei costi aggiuntivi di tariffe che arrivano fino al 98 per cento del prezzo iniziale, ma presto dovrebbero diventare molto più competitivi.

Mercato del lavoro

I sindacati temono una forte contrazione dei posti di lavoro, o uno spostamento massiccio di produzioni. Eppure il recupero di competitività che questo accordo dovrebbe portare quanto meno negli Stati Uniti dovrebbe essere sufficiente a scongiurare nuove delocalizzazioni. Come se non bastasse, pare che l'accordo abbia imposto ai paesi in via di sviluppo che lo hanno firmato di aumentare le tutele per i propri lavoratori, in maniera da ridurre ulteriormente i vantaggi per chi desidera delocalizzare.

Cina e re-export

Il nodo della partecipazione della Cina resta, per ora, aperto. Qualche mese fa secondo indiscrezioni cinesi si era saputo che tra i vincoli imposti agli stati firmatari dalla Tpp vi era quello di vietare ai suoi membri di commerciare con le nazioni che non fanno parte dell'alleanza. Se così fosse, la Cina, che è uno dei parter commerciali di riferimento per tutti i paesi del Sudest asiatico, ne risulterebbe estremamente indebolita, soprattutto in un momento di crisi come quello attuale, in cui trovare mercati alternativi è ancora più difficile. Forse è proprio per questo che a poche ore dalla chiusura dell'accordo sulla Tpp in Nuova Zelanda il Ministero del Commercio di Pechino ha annunciato l'intenzione della Cina di "studiare il nuovo accordo" in maniera da capire come possa convivere e sostenere gli altri regimi di libero scambio già operativi nella regione. Per capire se si tratta della premessa per una futura adesione cinese e, eventualmente, a quali condizioni quest'ultima potrebbe essere concessa, dovremo però aspettare ancora molto tempo. 

I più letti

avatar-icon

Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

Read More