Sharing economy: un bilancio in chiaroscuro
Chip Somodevilla(Getty Images
Economia

Sharing economy: un bilancio in chiaroscuro

Per i millennials condividere è un'abitudine irreversibile, ma chi opera nel settore ha già perso tanto sul piano di diritti e sicurezza

"Economia della condivisione": è questo il significato letterale di sharing economy, la formula che da qualche anno ha rivoluzionato i comportamenti dei consumatori. Il concetto alla base del fenomeno è semplice: siamo tutti interconnessi digitalmente, per cui possiamo mettere a disposizione degli altri ciò che abbiamo o ciò che sappiamo fare direttamente, senza intermediari e diventare, per usare una formula in voga, imprenditori di noi stessi.

Automobili, appartamenti e tanto altro

Le piatteforme disponibili sono moltissime, in diversi settori e con diverse specializzazioni. Si va dalla celeberrima Uber, che offre un servizio di trasporti in automobili private, ad Airbnb, che consente di affittare una stanza o un appartamento a turisti di passaggio. Censire tutte le società del genere è quasi impossibile, perché negli ultimi tempi sono spuntate come funghi, anche in Italia: c'è persino chi condivide attrezzature sportive per fare turismo estremo, come la pluripremiata Sharewood, fondata dal 23enne Piercarlo Mansueto, o crea gruppi di condivisione di polizze assicurative, come Axieme, fondata dal trentenne Edoardo Monaco.

Quanto vale la sharing economy

Considerando quanto se ne parla sui media, la sharing economy sembra destinata quasi a soppiantare le forme di prestazione di servizi tradizionali. Ma è davvero così? Una risposta esatta è difficile da dare. Certo è che le quote di mercato guadagnate da Uber a scapito dei tassisti e da Airbnb a scapito degli albergatori non sono affatto irrilevanti. La compagnia di condivisione di trasporti proclama di avere addirittura una quota dell'87% negli Stati Uniti. I dati disponibili sembrerebbero confermare un panorama positivo anche per le società meno note e meno grandi del colosso di San Francisco: secondo un recente studio del centro di ricerca Pew, il 72% degli americani ha usato un servizio di sharing economy. Parrebbero ottimi anche i risultati ottenuti nel resto del mondo: in Cina, si stima che entro il 2020 la sharing economy varrà un decimo dell'intero Pil nazionale, mentre uno studio della PriceWaterhouse Coopers stima per il giro d'affari in Europa un valore di 570 miliardi di euro entro il 2025.

A chi piace e a chi no

Dietro i grandi numeri, però, si nasconde una realtà molto variegata. Innanzitutto, i servizi online di questo genere non hanno sfondato dappertutto in maniera omogenea. Airbnb e soci sono molto popolari a New York, ma non nel resto degli Stati Uniti. Lo stresso discorso vale in Europa, dove a Londra e Parigi la sharing economy viaggia a gonfie vele, ma non nel resto del continente. Grandi differenze, poi, si registrano a seconda delle fasce di età: se per i millennials condividere tutto è ormai un'abitudine irreversibile, non si può dire altrettanto per chi ha qualche anno di più, per non parlare di chi ha superato gli "anta".

Un mercato con troppe poche regole

Non solo: c'è anche da risolvere la questione della regolamentazione. Basare il proprio reddito sulla condivisione può sembrare allettante, ma significa anche rinunciare a quelle garanzie per cui i lavoratori si sono battuti per decenni. Anche la tutela del consumatore, affidata ai giudizi degli utenti, è affievolita rispetto ai servizi su cui agiscono controlli pubblici. E con Uber che, secondo gli analisti di Bloomberg, ha registrato almeno quattro miliardi di dollari di perdite dal momento della sua fondazione, c'è poco da stare allegri. Insomma, chi punta su questo genere di servizi sta facendo una scommessa molto ardita: hanno sì prospettive sicuramente destinati a crescere (e molto), ma oggi come oggi non hanno sufficiente solidità economica ed è probabile che la dura legge del mercato faccia piazza pulita delle start up più fragili. L'Italia è esemplare in questo senso: secondo Wired, il 51% delle piattaforme di sharing ha un numero di utenti inferiore a cinquemila, e soltanto l'11% ne conta oltre 100mila.

I più letti

avatar-icon

Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

Read More