Facebook e LinkedIn, ecco come le aziende possono usarli al meglio
Economia

Facebook e LinkedIn, ecco come le aziende possono usarli al meglio

I due social network offrono grandi opportunità alle imprese, ma bisogna scegliere una strategia. Partendo da questi consigli

Milioni e milioni di utenti, anzi nel caso di Facebook più di un miliardo. Sui social network le aziende possono trovare un pubblico di riferimento enorme e proveniente da qualsiasi Paese in cui sono attive o in cui hanno intenzione di espandere il loro business. Ecco perché non è possibile improvvisare: bisogna mettere in piedi la strategia giusta. Sia per sfruttare al meglio questi strumenti, sia per evitare di commettere errori che, alla lunga, potrebbero rivelarsi clamorosi autogol. Vediamo entrambi i rovesci della medaglia.

La prima scelta da fare è, banalmente, quella di non scegliere: la piattaforma di Mark Zuckerberg raggiunge un pubblico di massa, più indifferenziato; LinkedIn, per quanto abbia sfondato la soglia dei 200 milioni di iscritti, mantiene un taglio molto professionale, settoriale, ben concentrato sul segmento degli affari. Presidiare entrambi gli ambienti, se davvero si vuole costruire un approccio completo e coerente al mondo social, non è una via opzionale. È imprescindibile.

Ma come procedere a livello pratico? «La strada più semplice, più comoda, per farsi conoscere o per segnalare la propria presenza, è quella di comprare spazi a pagamento. Facebook offre strumenti formidabili per colpire un target mirato, preciso, ritagliato addosso alle esigenze delle imprese. E non è da meno LinkedIn, dove posso chiedere di raggiungere profili specifici sulla base dell’area di residenza o della professione svolta» dice a Panorama.itAndrea Boaretto, docente di marketing multicanale al Politecnico di Milano. In questa direzione si muovono i cosiddetti «Sponsored Updates» di LinkedIn, che danno alle aziende l’opportunità di promuovere qualsiasi contenuto, inclusi video e presentazioni, nel flusso di notizie degli utenti. Lato Zuckerberg, invece, la novità è che è venuto meno il criterio temporale e cronologico delle notizie, e dunque i post di maggiore successo, che hanno rastrellato consensi e commenti, hanno più opportunità di essere proposti e riproposti in giro, di diventare virali. Inoltre c’è grande interesse intorno agli spot video: secondo gli analisti di Morgan Stanley saranno in grado di fruttare più di 1 miliardo di dollari nel corso del 2014.

«Ma ora che ho catturato l’attenzione, ora che ho ottenuto nuovi fan e collezionato like» si chiede Boaretto «che cosa ci faccio? Qual è la metrica di riferimento? Certo, li posso misurare con parametri di soddisfazione del cliente o engagement della marca, ma ci vuole forse qualcosa di più». Questo processo di cattura, peraltro, non è spontaneo: è figlio di un investimento, di una dinamica «drogata». Di un pagamento. Che non basta a se stesso e tralascia un’altra considerazione fondamentale, una via più scomoda e lenta ma che potrebbe regalare soddisfazioni maggiori: i social network sono incredibilmente meritocratici. Sanno premiare chi è bravo a ingaggiare conversazioni, a coinvolgere il suo pubblico di riferimento.

Per riuscirci, ecco l’approdo, bisogna muoversi con il passo giusto. «Creando il proprio profilo e animandolo» dice Boaretto «sia che si parli ai clienti, che a un’utenza di “white collar”, come avviene su LinkedIn». Dove il profilo coincide con le «company pages», le pagine delle aziende: a oggi ce ne sono ben 3 milioni in rappresentanza di oltre 140 industrie. Ne sono state create ben 500 mila tra giugno 2012 e giugno 2013. Di più: i prodotti segnalati in tutto sono oltre 1,2 milioni. «È innanzitutto una questione di immagine, ma in senso ampio» spiega il docente del Politecnico: «Abbandoniamo per un attimo il lato del marketing puro e ragioniamo sul piano delle risorse umane. Un’azienda che cura bene la sua immagine sui social network, su LinkedIn in particolare, potrebbe attrarre nuovi talenti. E reclutarne più con questi metodi che non con un career day».

Anche in questo caso, e comunque in generale, la modalità migliore e che funziona davvero, è quella di conquistarsi la visibilità guadagnandosela. Meritandosela con i contenuti. Creando un reparto ad hoc che si occupi dei social network e solo di quelli. «Senza dimenticare mai» avverte Boaretto «che non è un dogma di fede essere presente su Facebook e LinkedIn. Iscriversi significa che qualsiasi contenuto, incluso uno qualsiasi che per un motivo o per un altro diventerà virale e scomodo, sarà commentabile. L’azienda deve capire che si porrà sullo stesso piano degli individui con cui si metterà in relazione. E che sulle sue pagine non ci saranno soltanto amici, ma anche concorrenti e detrattori con la voglia di danneggiarla. Non a caso alcune imprese non ci stanno e decidono che è meglio lasciar perdere, che non vogliono correre questo rischio. Chi non capisce e mette in conto i rischi che accompagnano le opportunità dei social network si muoverà sempre fuori contesto. Limiterà se stesso e non reagirà a dovere in caso di necessità. Sarà un po’ come se stesse bestemmiando all’interno di una Chiesa».

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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