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Economia

Come fa Facebook a fare così tanti soldi

La pubblicità, anche su Instagram, soprattutto in mobilità. I video, la promessa della realtà virtuale. E una base di utenti che non smette di crescere

Ha tutto il diritto di concedersi più di una risata Mark Zuckerberg, ripensando ai taglienti articoli di siti e giornali di qualche anno fa. Ai mal di pancia di analisti espertoni e finanziatori ansiosi, preoccupati del mancato decollo della pubblicità sui dispositivi mobili. Inferiore alle attese, marginale, poco incisiva, si scriveva.

Il fondatore di Facebook non si agitava più di tanto, chiedeva soltanto un po’ di pazienza. Ancora una volta aveva intuito il potenziale di un mercato prossimo al decollo. Così come aveva indovinato che saremmo impazziti all’idea di sbirciare nelle vite altrui tramite una bacheca digitale, mentre era ancora uno studente spiantato. I fatti, e il tempo, gli hanno dato ragione. Non c’è stata una crescita, ma un boom. Un’esplosione.

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Oggi gli annunci visualizzati su telefonini e tablet valgono l’80 per cento dei guadagni. Erano il 69 per cento, l’11 in meno, alla fine del 2014. Un trend forse ovvio, che coincide con il lento declino dell’esperienza dai pc tradizionali (e il loro conseguente crollo nelle vendite), ma presidiato da Zuckerberg con sapiente anticipo.  

Lo stesso vale per il peso attribuito ai video. Complice la diffusione delle reti mobili veloci e un’evoluzione della fruizione che ha marginalizzato parole e immagini statiche – faccine a parte – Facebook si è imposto come snodo fondamentale per questi contenuti. Ha raccolto l’eredità di YouTube. Ne ha appreso la lezione, migliorandola e cucendola addosso alle sue logiche. Si prepara al futuro: all’esperienza a 360 gradi, all’immersività totale, a veicoli inediti per raccontare storie.

Ecco che la pubblicità ha imparato a camuffarsi, a inserirsi in modo coerente e lecito nel flusso di notizie quotidiane. Con un suo linguaggio, un lessico che bandisce o comunque disincentiva l’improvvisazione. Basta visitare per esempio il link con le linee guida per pubblicarne uno, per accorgersi quanto la piattaforma miri a essere uno strumento di marketing alla portata di tutti. E in grado di raggiungere chiunque.

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In generale, sul social network ci sono 1,59 miliardi di utenti attivi ogni mese. Il 14 per cento in più rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. Ognuno frutta in media alla piattaforma 3,73 dollari, quasi 3 euro e mezzo. Solo negli Stati Uniti e in Canada, il valore schizza a 13,54 dollari. Erano 10,49 nel medesimo periodo del 2014.

Insomma, lo snodo è evidente: siamo sempre di più a saturare Facebook di foto, pensieri e filmati. È come un teatro che non smette di guadagnare spettatori in platea. Come una tv con l’audience al galoppo. Ed è ovvio che questa folla faccia gola agli inserzionisti. A maggior ragione perché ha una peculiarità ben definita. Non è indifferenziata.

Forse il più grande merito e la principale forza di Zuckerberg, è avere una straordinaria confidenza con il futuro

Su Facebook la pubblicità è democratica. Può acquistarla la multinazionale con fatturati a troppi zeri, così come l’impresa di provincia che vuole magnificare la sua piccola attività con un budget modestissimo. A entrambi è offerta la possibilità di selezionare il loro pubblico di riferimento per fasce d’età, zone geografiche, interessi. Gli stessi che noi, di nostra spontanea volontà, comunichiamo al cervellone social a suon di «mi piace». È una storia vecchia, vecchissima, ma che continua a essere l’uovo di Colombo.

«Scegli il pubblico giusto»; «trasmetti messaggi pertinenti a persone specifiche»; «raggiungi solo le persone che contano per te». Sono le promesse strillate in home page nella sezione «Facebook per business», che fa leva su uno straordinario, efficacissimo paradosso: è vero, lo si diceva poco sopra, siamo sempre di più. Ma Zuckerberg potrà raggiungerne sempre di meno, quelli giusti, quelli che interessano davvero a chi spende i suoi soldi e si aspetta un ritorno quantomeno in immagine.

Le ragioni per dormire sonni tranquilli a Menlo Park dunque non mancano. E superano statiche barriere. La pubblicità è sbarcata anche su Instagram, in mezzo a foto di cibo e selfie con il filtro; la combinata Messenger e WhatsApp segna il predominio assoluto nel segmento (eufemismo) delle chat; la realtà virtuale tramite Oculus Vr è un successo annunciato. I preordini hanno polverizzato i primi lotti disponibili, gli analisti preconizzano 1,5 milioni di pezzi venduti entro la fine del 2016. Ma si tratta di stime prudenti. Che spalancano nuovi spazi alla pubblicità, con forme e linguaggi ancora sperimentali, in nuce, ma presto consolidati. Forse il più grande merito, la principale forza di Mark Zuckerberg, è avere una straordinaria confidenza con il futuro.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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