Spending review: e meno male che dovevano tagliare la spesa pubblica
Economia

Spending review: e meno male che dovevano tagliare la spesa pubblica

Riduzione della spesa pubblica del governo Monti inattuata. Province e piccoli ospedali sono ancora lì, a rischio la riduzione dei tribunali. Mentre aumentano noleggi, pulizie

Tagliare la spesa pubblica in Italia sembra proprio una missione impossibile. Il paradigma è il dimezzamento delle province, annunciato con grande enfasi dal governo guidato da Mario Monti a luglio 2012: ne dovevano rimanere solo 43 su 107, oltre alle 10 città metropolitane. Peccato che il decreto che prevedeva questo taglio non sia mai stato convertito in legge, quindi tutte le province al momento restano e i loro presidenti ne diventano commissari (tranne che nelle città metropolitane, dove da gennaio 2014 i nuovi commissari saranno i sindaci dei 10 capoluoghi). E il risparmio? Per ora è solo quello dei costi dei consigli e delle giunte provinciali: in tutto circa lo 0,08 per cento della spesa complessiva degli enti locali.

Dossier Corte dei conti. Questo è solo uno dei tanti esempi di provvedimenti annunciati dallo scorso governo e non realizzati. Sempre nel luglio 2012 veniva annunciata la spending review, ovvero la revisione della spesa che, sottolineava l’allora premier Monti, «non è una nuova manovra di finanza pubblica, ma una riforma strutturale». Davvero? A quasi un anno di distanza poco è stato fatto, come rileva anche la Corte dei conti nel suo recentissimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica: «Dei 10,7 miliardi di riduzioni di spesa previsti per il 2012 solo il 60 per cento si riferisce a specifiche misure indicate dalle amministrazioni, mentre dei 5,5 miliardi di riduzioni previste per il 2013 meno di un terzo si riconducono a interventi definiti dai ministeri». E meno male che dovevano tagliare La Corte dei conti aggiunge: «Meno incisive sembrano le misure adottate nel 2011, improntate a una maggiore selettività degli interventi, cui si contrappone una nuova crescita della spesa primaria nell’esercizio successivo».

Non solo, andando a spulciare nel voluminoso rapporto della Corte dei conti Panorama ha scoperto che in realtà, tra il 2010 e il 2012, sono aumentate da 9,7 a 10,7 miliardi persino le spese pagate dallo Stato per i cosiddetti consumi intermedi, ovvero i beni e i servizi acquistati ogni anno dalle pubbliche amministrazioni. Qui si è tagliato assai poco su spese di rappresentanza, consulenze, rimborsi viaggio, mentre sono aumentati i costi di noleggi, pulizie, spedizioni postali e così via.

E che dire della sanità? Doveva essere il settore più alleggerito dalla spending review, con tagli per oltre 3 miliardi fino al 2014, in particolare con la chiusura dei piccoli ospedali. Nel testo della legge si affermava infatti che le regioni «adottano tutte le misure necessarie a prevedere, entro il 31 ottobre 2012, la cessazione di ogni attività dei presidi ospedalieri a gestione diretta delle asl con un numero di posti letto inferiore a 120 unità e la conseguente immediata chiusura». Fatto? Macché. «La chiusura dei presidi è saltata e ogni regione ha deciso in autonomia» spiega Antonio Mazzone, presidente della Fondazione dirigenti e internisti ospedalieri, «e così la spending review, che era una buona idea per eliminare gli sprechi, mi sembra un’occasione persa».

I piccoli tribunali. Al momento è al palo anche la loro soppressione. Era prevista la chiusura di circa 1.000 uffici con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ma l’opposizione di magistrati, avvocati e politici che difendono il proprio collegio elettorale è molto forte e il provvedimento, che dovrebbe entrare a regime il 13 settembre, è di nuovo in discussione (si ipotizzano correzioni e una proroga) alla commissione Giustizia del Senato. Nonostante l’allarme del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del vicepresidente del Csm, Michele Vietti, che chiedono di andare avanti.

La bolletta elettrica. Almeno, si è riusciti a risparmiare un po’ sulla bolletta elettrica? L’idea di dimezzare l’illuminazione pubblica, un lampione sì e uno no, s’è scontrata con le esigenze della sicurezza. Di fatto, il problema è stato scaricato sui comuni: passare dai lampioni tradizionali a quelli di ultima generazione permette risparmi fino al 30 per cento, ma finora solo il 20 per cento dei comuni è stato in grado di affrontare l’investimento. Infatti il costo per sostituire tutti i lampioni sarebbe di 1,35 miliardi di euro e verrebbe ripagato in cinque anni dal risparmio energetico, stimato in circa 300 milioni annui. Ora il governo Letta, con il «decreto del fare», punta invece alle bollette delle famiglie sperando di far risparmiare 5 euro quest’anno e 10 il prossimo.

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Edmondo Rho