Prospetti informativi: 5 cose che le banche non dicono
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Economia

Prospetti informativi: 5 cose che le banche non dicono

I documenti che accompagnano i prodotti finanziari sono spesso indecifrabili per un risparmiatore medio. Ecco come scovare trappole e bidoni

“Ci vogliono dei prospetti informativi più semplici”. Parola di Giuseppe Vegas, presidente della Consob, che ieri ha criticato il modo in cui sono redatti (in base alle leggi europee) i documenti che di solito accompagnano le obbligazioni e gli altri titoli emessi dalle banche. Lo scopo di questi prospetti è illustrare al risparmiatore tutti i rischi che corre comprando i titoli. E invece, come sanno bene i clienti di Banca Etruria e degli altri istituti regionali falliti alla fine del 2015, succede esattamente il contrario: visto il linguaggio burocratico e tecnico in cui vengono scritti, i prospetti informativi non sono letti per intero da nessuno e i risparmiatori italiani continuano a comprare spesso i solidi bidoni. A ben guardare, tuttavia, con un po' di accortezza si può evitare la peggio. Ecco, di seguito 5 voci da tenere sott'occhio nelle note informative dei prodotti finanziari, che aiutano a capire i rischi a cui ci si sta esponendo.

Rischi di tasso e di mercato

Innanzitutto, nei prospetti informativi vengono messi ben in evidenza (con un titolo a caratteri maiuscoli) due tipi di rischi: quello di tasso e quello di mercato. Se un risparmiatore acquista un'obbligazione bancaria a interessi fissi, per esempio, rischia di vederla svalutata sul mercato in caso di rialzo nel costo del denaro. Quando la banca centrale aumenta i tassi d'interesse, infatti, sul mercato arrivano titoli di nuova emissione che, a parità di scadenza, offrono cedole un po' più ricche del bond già acquistato, il cui prezzo tende inevitabile a scendere.

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Rischi di liquidità

Può accadere (e spesso è accaduto in passato) che le banche vendano dei titoli che non sono neppure quotati su mercati regolamentati come il Mot, il listino obbligazionario telematico di Piazza Affari. L'investitore si espone così al rischio di liquidità: se ha un improvviso bisogno di soldi, infatti, non è escluso che non riesca neppure a rivendere le obbligazioni o gli altri strumenti finanziari che ha nel portafoglio, visto che non c'è una piazza finanziaria dove possono essere scambiati. Soltanto la banca che li ha venduti può riacquistarli, a condizioni che però non sono sempre favorevoli al cliente (si veda il paragrafo successivo).

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I conflitti d'interesse

Chi stabilisce il prezzo del titolo che compro in banca quando non è quotato su mercati regolamentati? Ecco un'altra domanda da porsi per evitare i bodoni. Nel prospetto informativo, infatti, deve essere specificato anche un altro rischio: quello legato al fatto che l’agente per il calcolo del prezzo del titolo coincide spesso con lo stesso soggetto che lo ha emesso. In altre parole, a fare il prezzo di un'obbligazione o di un altro strumento finanziario non è il mercato ma la banca stessa. Quest'ultima, essendo in conflitto di interesse, può anche comprare e rivendere il titolo a valori che convengono soltanto a lei ma non a cliente.

Rischio di fallimento dell'emittente

E' il rischio a cui si sono esposti, spesso inconsapevolmente, i piccoli risparmiatori che hanno comprato le obbligazioni subordinate della Banca Etruria e degli altri istituti regionali finiti a gambe all'aria alla fine del 2015. Bisogna infatti sempre domandarsi quali protezioni sono previste per il risparmiatore quando la società che ha emesso un titolo fallisce. Lo spettro di perdere tutto il capitale è dietro l'angolo. Nei prospetti informativi, questo scenario deve essere messo in evidenza, sotto la voce “Rischio legato all'emittente”.

Assenza di rating

Non va infine dimenticato che le banche, quando emettono un'obbligazione o un'azione, devono evidenziare bene se si tratta o meno di uno strumento finanziario dotato di rating. Gran parte dei titoli in circolazione, infatti, sono soggetti alla valutazione di un'agenzia specializzata (come le americane S&P o Moody's) che gli assegnano una sorta di “punteggio”, per misurare l'affidabilità finanziaria dell'emittente. Molti strumenti finanziari collocati dalle banche, però, sono privi di rating e, dunque, non esiste una bussola che aiuti i risparmiatori a capire la rischiosità di ciò che stanno acquistando.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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