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Economia

Pir: ecco dove e come investono

Da inizio anno sono stati lanciati 38 nuovi fondi, ma solo 7 si sono focalizzati solo sulle piccole e medie imprese

Hanno fatto il loro debutto a gennaio e in soli 4 mesi i Pir, una sigla che sta per piani individuali di risparmio, hanno raccolto già 3 miliardi di euro.

Questa cifra spiega da sola il grande entusiasmo con cui è stato accolto questo strumento, che presenta benefici fiscali e può rappresentare un catalizzatore del risparmio verso l'economia, dall'industria del risparmio italiana rappresentata da banche, assicurazioni e gestori di patrimoni.

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I nuovi prodotti da inizio anno
Entusiasmo che ha spinto di recente il Governo a rivedere le stime ufficiali sulla raccolta con questi strumenti per quest’anno da 1,8 miliardi di euro a 10 miliardi (cinque volte di più).

Del resto da inizio anno sono nati 38 nuovi fondi Pir, di cui solo 15 provenienti dalla conversione di veicoli già esistenti.

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Ricordiamo che un Pir deve investire almeno il 70% del capitale in strumenti finanziari di aziende italiane o europee ma con stabile nel nostro paese. Ma dove finiscono in realtà i soldi raccolti da questi strumenti finanziari?

Il boom dei fondi Pir
Premesso che un Pir è una sorta di salvadanaio, un contenitore in cui un risparmiatore privato può inserire un'ampia gamma di strumenti finanziari, la forma del fondo comune di investimento è la più proposta sul mercato oggi dall'industria finanziaria italiana; molto di più rispetto alla gestione patrimoniale, al contratto assicurativo o al deposito titoli.

Quest'ultimo, che si presta al fai da te, è proposto da pochissimi intermediari.

E proprio sui fondi Pir si è concentrata una recente indagine di Intermonte Advisory e Gestione, la divisione di Intermonte SIM che si occupa di risparmio gestito e advisory.

L'impatto a Piazza Affari
Risultato? Se consideriamo l'universo delle small & mid cap, le piccole e medie imprese, i soldi raccolti dagli italiani sono andati soprattutto a quelle di maggiori dimensioni e più liquide (con più scambi).

Parliamo, quindi, di 60 titoli azionari su circa 250 categorizzati come small & mid cap presenti a Piazza Affari: sono i titoli esclusi dal FTSE MIB, l'indice che raccoglie le grandi multinazionali italiane.

Ma sono, comunque, una sessantina di imprese che non fanno parte dell'universo delle pmi e che possono essere categorizzate come grandi imprese.

Pochi soldi alle Pmi
Eppure proprio le piccole e medie imprese - a Piazza Affari sono presenti soprattutto negli indici small cap e AIM Italia, riservato alle micro cap - a fronte del calo dell'offerta di credito da parte delle banche avrebbero bisogno di forme alternative di finanziamento.

Tuttavia, c'è anche un'altra ragione dello scarso interesse dei fondi verso le pmi: investire in imprese meno liquide, proseguono gli analisti di Intermonte, comporta rischi maggiori rispetto al rendimento medio, ma anche ritorni più alti con uno stock picking corretto (la capacità di selezionare le azioni sul mercato).

Non è, insomma, un investimento che si può proporre a tutti.

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Vincono le grandi imprese
Stando all'analisi di Intermonte, però, solo 7 fondi su 38 hanno investito oltre il 70% del portafoglio nel segmento small & mid cap (in un caso il 100% in small cap), quello più snobbato dagli investitori.

Ciò vuol dire che solo una piccola parte delle risorse raccolte finora dai Pir sul mercato finisce alle piccole e medie imprese.

La fetta più grande (28 su 38 hanno investito solo il 21% del patrimonio nelle small & mid cap: il minimo richiesto dalla legge) è andata a finanziare le grandi imprese e le multinazionali italiane, comprese le banche che rappresentano il 35% della capitalizzazione della Borsa italiana.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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