Economia

Basta ipocrisie, segreto di Stato sulle (presunte) tangenti Eni

Il governo deve difendere l'interesse nazionale e tutelare i manager che ha chiamato ad assicurare al Paese l'energia della quale ha bisogno. Tutto il resto è moralismo.

Nel film “Codice d’onore” il tenente Daniel Kaffee (Tom Cruise) affronta in un tribunale militare il colonnello Nathan R. Jessep (Jack Nicholson) facendogli confessare di aver dato l’ordine ad alcuni marines di picchiare il soldato Santiago, successivamente morto, per punirlo del suo scarso impegno. L’avvocato Kaffee riesce a far trionfare la giustizia facendo condannare il colpevole Jessep, capo della base militare di Guantanamo, ma l’arringa che Nicholson pronuncia con incredibile potenza alla fine del film svela l’ipocrisia dell’intero processo. Se il suo compito è quello di difendere la nazione allora “la morte di Santiago, nella sua tragicità, probabilmente ha salvato delle vite” perché, in un conflitto a fuoco, la sua negligenza avrebbe potuto provocare la morte di altri compagni. E poi aggiunge: “Non ho nessuna voglia di venire qui a spiegare me stesso a un uomo che passa la sua vita sotto la coperta di quella libertà che io gli fornisco e poi contesta il modo in cui gliela fornisco”. E’ un’accusa impietosa a chi gode dei beni dei quali gli sembra assolutamente normale godere e poi non solo fa finta di non sapere con quali metodi qualcuno glieli mette a disposizione ma, addirittura, condanna chi glieli mette a disposizione.

E’ la stessa ipocrisia di chi fa finta di credere che la benzina che riempie il serbatoio del proprio Suv sia arrivata fin lì grazie ad raffinati negoziati tra i manager dell’Eni e i rappresentanti dei Paesi produttori i quali, insieme ad altri eleganti invitati, sono usi ad interrompere le discussioni d’affari per l’impellente necessità di ascoltare la serenata in re maggiore di Brahms disquisendo dell'attualità del Tractatus di Ludwig Wittgenstein.

Ci si indigna quando viene alla luce che i manager dell’Eni hanno pagato (presunte) tangenti in Nigeria ma pretendiamo di avere tutto il petrolio di cui abbiamo bisogno. Siccome siamo moralisti lo vorremmo avere tangenti-free ma, se proprio non si può, accettiamo, coin un po’ di disgusto, anche quello per il quale sono state pagate (presunte) mazzette a patto che non si dica, non si scriva, non si sappia. E quando si viene a sapere, scatta in automatico la pelosa indignazione di ipocriti pasciuti con il serbatoio sempre pieno.

Ma l’ipocrisia, insieme al politically correct, sono malattie tipiche dell’occidente evoluto, talmente evoluto che si è staccato dalla dura realtà e ha iniziato a vagare nell’aere degli ideali irraggiungibili. Cioè delle utopie. Se (e sottolineo il “se”) i manager dell’Eni hanno pagato tangenti per ottenere una concessione per il campo di esplorazione petrolifera nigeriano denominato “Opl 245” perché altre società petrolifere del mondo erano pronte a farlo per vincere quella stessa concessione, hanno fatto bene a pagare. E indignarsi è ipocrita. Così come è ipocrita uno Stato che non difende le persone che ha chiamato a guidare un’azienda pubblica dell’importanza strategica dell’Eni lasciandole nelle condizioni di dover decidere da sole se perseguire gli scopi che proprio il governo gli ha assegnato, cioè rifornire il Paese dell’energia di cui ha bisogno per far marciare le imprese, oppure difendere la propria libertà personale.

Matteo Renzi ha assunto una posizione coraggiosa confermando la propria fiducia nell’amministratore delegato Claudio Descalzi, l’indagato principale dell’inchiesta in corso a Milano, ma non basta. Sulla vicenda serve mettere il segreto di Stato perché la fornitura di energia è una parte fondamentale di quella che si intende per “sicurezza nazionale”. Se non si vuole correre il rischio che ogni contratto stipulato con Paesi che non sono esattamente la culla del diritto, come la Nigeria, finisca per essere reso nullo dalle inchieste, va anche modificata la legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle imprese in modo che, in casi come questi, l’azienda sotto accusa possa pagare una multa parametrata al vantaggio economico ottenuto. E’ il modello adottato in Germania dove, per di più, la magistratura è controllata e indirizzata nelle sue inchieste dal potere politico e dove le imprese pagano mazzette all’estero con una frequenza e una nonchalance sconosciuta addirittura a noi italiani.  

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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