Come la Spagna ha tagliato le tasse disobbedendo alla Ue
Economia

Come la Spagna ha tagliato le tasse disobbedendo alla Ue

Per le imprese si tratta di una riduzione del 5% in due anni. Bruxelles, invece, chiedeva di aumentare le imposte su vino e birra per ridurre il rapporto debito/Pil

La decisione spagnola di rifiutare la ricette di austerità che Bruxelles (nonostante le dichiarazioni di principio) continua a proporre, irrompono al vertice di Ypres, città fiamminga a 120 chilometri da Bruxelles, dove i leader europei si incontrano oggi per iniziare seriamente le trattative sulla politica europea dei prossimi anni e, di conseguenza, anche sui nomi delle persone che la dovranno incarnare. A Ypres, infatti, non si potrà non tener conto del primo, vero, esplicito «no» che un Paese Ue ha opposto alle politica dell'austerità, ed è stata la Spagna guidata da Mariano Rajoy, presidente anche del Partito Popolare spagnolo.

Oggi il livello medio delle tasse spagnole sulle imprese è del 30%. Un confronto con il livello di tassazione italiano è difficile, ma se si prende a riferimento l’«Effective Tax Rate» (pressione fiscale rispetto all’imponibile) si scopre che l’Italia è prima in Europa con il 58% mentre la Spagna è al 29%. Stesso discorso per il «Total Tax Rate» (che comprende, oltre le tasse, anche i costi accessori come la burocrazia) l’Italia è al 65,8% mentre la Spagna è al 58,6%. Qualsiasi classifica si prenda, insomma, noi abbiamo tasse che gravano sulle imprese di molto superiori a quelle spagnole.

Eppure succede che il governo di Madrid, guidato da Mariano Rajoy ha deciso di ridurre in modo deciso la fiscalità sulle imprese e sulle famiglie con l’obiettivo di portare il livello fiscale sulle aziende dall’attuale 30% al 28% nel 2015 e al 25% nel 2016. E la cosa più interessante è che l’Unione europea è stata contraria a questa manovra di rilancio dell’economia. La Commissione, infatti, aveva suggerito a Rajoy di pensare innanzitutto alla sistemazione dei conti pubblici visto che il rapporto deficit/Pil è previsto stabile al 4,2% quest’anno e al 4,8% l’anno prossimo a causa del calo delle entrate. Il governo di Matteo Renzi, proprio a Ypres, ha invece confermato che l'Italia non ha intenzione di sforare il limite del 3% né quest'anno né il prossimo anno.

Bruxelles avrebbe preferito che Rajoy aumentasse le tasse in particolare su birra e vino per riportare il tendenziale del rapporto verso il livello “corretto” del 3% richiesto dai trattati europei. Il governo ha deciso di fare il contrario confermando, tra le altre cose, un livello di tassazione di appena il 25% per le imprese che producono un fatturato fino ai 10 milioni di euro.

Per quanto riguarda le tasse sulle persone, Rajoy ha deciso di tagliare gli scaglioni fiscali da 7 a 5 (sono 5 anche in Italia) abbassando in modo sostanzioso tutti gli scaglioni ma, in particolare, l’ultimo che prima era riservato a coloro che guadagnavano oltre i 300mila euro l’anno (e che pagavano un’aliquota del 52%). Nella nuova aliquota rientreranno tutti coloro che guadagnano oltre i 60mila euro che pagheranno un’aliquota del 45%. Significa che il “ceto medio” pagherà più tasse e che chi guadagna più di 300mila euro ne pagherà meno. Per fare un confronto: l’ultimo scaglione italiano è pari al 43% ed è riservato a chi guadagna oltre i 75mila euro l’anno.

Ma sarebbe sbagliato pensare che la Spagna di Rajoy si preoccupi esclusivamente di misure espansive. In realtà, appena eletto, nel 2011, il governo ha bloccato la crescita degli stipendi degli statali e delle pensioni portando la spesa pubblica totale dal 46,3% del 2010 al 44,8% del 2013 quando, per fare un confronto, in Italia la spesa pubblica è stata pari al 51,2% del Prodotto Interno Lordo (compresa l’abnorme spesa per interessi stimata in un’ottantina di miliardi nel 2013) rispetto ad una media europea del 49,7%.

In altre parole il modello spagnolo di politica per lo sviluppo non è quello che prevede più spesa pubblica, ma meno tasse, anche andando a battere i pugni a Bruxelles rifiutandone le ricette, che continuano ad avere come obiettivo solo quello della sistemazione dei conti pubblici. Ma, con una disoccupazione al 25,1%, Rajoy ha pensato che l’austerità non è una soluzione.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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