Tariffe cellulari, il ribasso non sarà per i consumatori
Economia

Tariffe cellulari, il ribasso non sarà per i consumatori

L'annuncio dell'Authority per le comunicazioni riuarda gli operatori. Ma i tagli non arriveranno alle nostre bollette

Se il ribasso delle le tariffe di terminazione mobile appena annunciato dall’Authority per le Comunicazioni vi ha fatto tirare un sospiro di sollievo potete rinfoderare il vostro entusiasmo: la posta economica in gioco è di prima grandezza, qualche miliardo di euro l’anno, ma riguarda i flussi economici fra i principali operatori. Non le bollette di tutti noi. Quella montagna di soldi è determinata da ciò che ogni gestore mobile chiede agli altri (fissi e mobili) per far terminare le loro chiamate sul cellulare del proprio cliente attraverso la propria rete. Ma nulla e nessuno può obbligare le compagnie fisse a riversare i loro risparmi sulle tariffe applicate ai clienti. Anzi, con i chiari di luna degli ultimi tempi (caratterizzati generalmente dalla caduta dei ricavi e dei margini) c’è da giurare che se ne guarderanno bene.

Le tariffe di cui si parla sono state molto alte per tutta la prima stagione della telefonia cellulare. Ancora nel 2005 per raggiungere un utente sulla rete del suo gestore mobile si pagavano 15 centesimi al minuto: un’enormità che contribuiva a tenere alte le tariffe telefoniche e si traduceva in flussi di ricavi enormi per le compagnie mobili, chiamate non per niente “galline dalle uova d’oro”.

Poi, grazie alla pressione dei regolatori, il livello è diminuito in Italia fino a 5,3 centesimi per le principali compagnie (con un’eccezione parziale per Wind e ben più corposa per la compagnia 3, che essendo l’ultima arrivata sul mercato ha ancora diritto tariffe più alte). La vera discesa, tuttavia, comincia adesso: 2,5 centesimi dal 1° luglio, 1,5 centesimi a gennaio 2013 e 0,89 fra un anno (che si applicherà a tutti, anche alla 3), livello minimo che dovrebbe preludere addirittura a un azzeramento totale. Questo è almeno l’auspicio della Commissione europea che da anni pungola l’Italia, più lenta a calare rispetto agli altri paesi dell’Ue.

È stata proprio la Commissione a determinare l’ultimo colpo di acceleratore, chiedendo all’Authority di modificare la sua relativa delibera che prevedeva un ritmo molto più soft. Aver corretto bruscamente la rotta per recepire le richieste di Bruxelles (con un anticipo di un anno e mezzo dell’intera curva discendente) è stata l’ultima decisione rilevante Consiglio dell’Authority per le Comunicazioni guidato da Corrado Calabrò, che così facendo ha scatenato una specie di rivolta degli operatori mobili. Vodafone in particolare ha fatto ricorso al Tar del Lazio (che terrà la prima udienza il 4 luglio), sostenendo che la virata del Garante italiano produce una riduzione di entrate troppo repentina per i gestori mobili e che questo andrà in alcun modo a beneficio del mercato.

Il fatto è che su questo punto si combatte da anni una vera battaglia che vede schierate da una parte le compagnie prevalentemente mobili, come Vodafone e Wind, e dall’altra quelle prevalentemente o interamente fisse, come Fastweb, Bt Italia e altri. Telecom Italia in teoria dovrebbe essere neutrale, visto che, essendo presente in forze su entrambi i lati della barricata, ridurrà le uscite in quanto gestore fisso ma incasserà meno come gestore mobile. Tuttavia i suoi competitori mobili sostengono che, poiché Telecom ha nel fisso una quota di mercato molto più alta che nella telefonia cellulare, tutta la manovra potrebbe tradursi alla fine in un massiccio trasferimento di risorse dalle loro casse a quelle dell’ex monopolista telefonico. Difficile dire se sia davvero così. Ma è certo che tutta la situazione sarebbe più chiara se almeno una parte del taglio finisse nelle tasche dei consumatori.

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Stefano Caviglia