Start-up, il pallino di Passera e la lentezza italiana
Economia

Start-up, il pallino di Passera e la lentezza italiana

Saranno al centro del decreto Crescita2. Ecco perché c'è fermento dietro al business delle nuove imprese

Per Corrado Passera le start up sono diventate un'ossessione. Non solo ha preparato un vero Rapporto . Ma sono ormai un mantra con cui accompagnare ogni sua uscita pubblica. Variazioni sul tema del ministro dello Sviluppo Economico: "Adesso bisogna pensare alle nuove imprese"; "Con le start up rilanciamo l'occupazione, "Stiamo pensando ai nuovi imprenditori". Venerdi a Roma al primo TechCrunchItaly , sabato a Cesena per la sontuosa inaugurazione della nuova sede della Technogym di Nerio Alessandri, domenica nel salotto comodo di Fabio Fazio dove ha scelto la versione Agenda Digitale dal momento che, sornione, ha usato toni e temi da aspirante leader.

Mai un decreto è stato tanto anticipato, promosso, coccolato come il Crescita2 previsto (in teoria) per il 4 ottobre. Tanto curato da essere continuamente rinviato perchè "viene limato in ogni suo dettaglio", recita la versione ufficiale. Una limatura dopo l'altra, bisognerà vedere che cosa resterà del manufatto originale. Tanta attesa non potrà che portare o una grande sorpresa o una grande delusione. A questo punto la speranza tra giovani e meno giovani abitanti dell'ecosistema start up, che ormai considerano di casa Passera, è che il ministro si impegni al massimo per non rimetterci la faccia, visto che da mesi ricorda periodicamente di avercela messa.

C'è fermento attorno agli imprenditori innovativi. Le start up sono "fashiobable", dice Gianluca Dettori, uno che la sa lunga. In molti vogliono indossarle. E Roma non intende perdere la tendenza. Per due giorni ha riaffermato il suo ruolo di capitale con "Capitali Coraggiosi" e TechCrunchItaly, 48 ore ad altà intensità digitale con un fil rouge sotterraneo anche se si trattava di due contesti diversi (e forse anche di due parrocchie diverse, secondo lo stile italiano): la ricerca di un contatto con il mondo, di un'apertura verso i flussi internazionali di idee e, soprattutto, di capitali.

Appunto i "Capitali Coraggiosi" che ancora scarseggiano in Italia e che invece Roma potrebbe attirare secondo Phil Wickham, numero uno della Society of Kauffman Fellows, la più importante "scuola" di venture capital del mondo. Due attualmente i "fellow" italiani: Salvo Mizzi, responsabile del progetto Telecom Working Capital, e Gianluca Dettori, ex enfant prodige della New Economy che adesso fa consulenza per investitori con la sua DPixel. E presto ci potrebbe essere anche una "filiale" tricolore.

In Italia bisogna sviluppare il venture capital ed è tutto da inventare il crowfunding, il finanziamento diffuso che da gennaio sarà legale negli Stati Uniti grazie al lavoro tenace di Jason Best, anche lui venuto a Roma, il giovane e deciso imprenditore che ha convinto Obama della bontà del suo obiettivo: dirottare l'1% del reddito statunitense su start up e pmi, quasi 3 miliardi di dollari. Vedremo se e come il decreto promesso da Passera prevederà la possibilità di crowfunding anche in Italia.

Le opportunità di investimento non mancano: 10 start up selezionate da Enlabs a Capitali coraggiosi, 47 (con qualche duplicazione, ovviamente) selezionate da Mind the bridge il giorno dopo a TechCrunchItaly, evento che ha coinvolto più di 1000 persone e numerosi ospiti internazionali (da Alec Ross, consulente di Hillary Clinton per l'innovazione a Zaryn Dentzel, fondatore di Tuenti; da Fay Arjomandi, numero uno di Vodafone xone/Ventures, a Mitchell Baker, fondatore di Mozilla). "In Italia ci sono molte realtà interessanti spesso conosciute più all'estero che da noi", dice Luca Ascani, presidente di Populis che ha organizzato l'evento con TechCrunch, "ma ci son anche moltissime realtà che hanno bisogno di farsi conoscere e di avere una vetrina internazionale, perchè l'innovazione non ha confini".

Peccato però che a Villa Borghese, dove si voleva comunicare con il mondo, non c'era una connessione internet veloce. A questo punto non servono più meeting, party, pitch. Ma capitali veri, progetti concreti, piani a medio termine. Per evitare il rischio di cadere nel vizio italiano del futurismo furbo: è del poeta il fin la meraviglia...Tanto nessuno va oltre.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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