Privatizzazioni, il tesoretto dello stato vale almeno 500 miliardi. Ecco cosa si può vendere in tempi brevi
Economia

Privatizzazioni, il tesoretto dello stato vale almeno 500 miliardi. Ecco cosa si può vendere in tempi brevi

Tra immobili, terreni e azioni, il patrimonio pubblico è consistente. Ma solo il 10% può finire sul mercato velocemente

Circa 370 miliardi di euro di immobili e almeno di 100 miliardi di partecipazioni azionarie, per un totale che sfiora (o supera abbondantemente) i 500 miliardi di euro. E' ancora molto alto (nonostante le privatizzazioni degli anni '90) il valore del patrimonio di proprietà dello stato italiano, che oggi può rappresentare un prezioso serbatoio cui attingere, per ridurre il peso schiacciante del debito pubblico.

Il premier Mario Monti ha annunciato ieri un piano di dismissioni per fare cassa, ma non sono poche le difficoltà con cui dovrà confrontarsi per valorizzare al meglio il tesoretto che ha a disposizione, senza correre il rischio di scivolare in qualche escamotage di finanza creativa, che potrebbe alla fine rivelarsi un flop. Anche perché, secondo le stime più accreditate, la quota di patrimonio pubblico realmente cedibile (almeno in tempi brevi) non supera probabilmente i 40 o 50 miliardi di euro, corrispondenti a meno del 10% del totale.

IL FORZIERE IMMOBILIARE.

La ricchezza maggiore, almeno sulla carta, è nel mattone, cioè nel gigantesco patrimonio immobiliare dello stato. Secondo una stima del Ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) , aggiornata al marzo del 2011, il valore dei fabbricati e dei terreni ancora in mano pubblica raggiunge nel complesso i 368 miliardi di euro: una cifra astronomica che risulta però spezzettata in 530mila unità immobiliari e in 730mila terreni, che hanno le più svariate destinazioni (spesso risultano addirittura inutilizzati) e sono in mano a una molteplicità di soggetti.

IL TESORETTO DEI COMUNI.

Sui 368 miliardi di patrimonio complessivo, infatti, lo stato centrale ne possiede direttamente soltanto 72 miliardi, le regioni circa 11 miliardi, le province altri 29, seguite a ruota dalle Asl (25 miliardi) e dalle Università pubbliche (10 miliardi). La parte del leone spetta invece ai Comuni che, secondo le stime dei tecnici del Mef, hanno in pancia ben 227 miliardi di immobili pubblici. Quanti potranno essere venduti? E' proprio questo l'interrogativo da cui partirà il governo poiché, com'è facilmente intuibile, molti fabbricati servono per ospitare gli ospedali, le scuole o gli atenei e non possono essere certo trattati alla stregua di edifici commerciali, da cui è possibile ricavare una montagna di soldi.

40 MILIARDI DISPONIBILI.

Per questo, i tecnici del governo calcolano che la quota di immobili pubblici realmente cedibili valga nel complesso circa 40 miliardi di euro. E' una stima che non si discosta molto da quella effettuata tempo fa anche dall'istituto di ricerca Bruno Leoni (che ha calcolato un gettito potenziale di 36 miliardi) basandosi su alcune ipotesi di fondo: la quota di immobili cedibili è pari ad almeno la metà dei fabbricati che fanno capo allo stato centrale, a un terzo del patrimonio delle Università e a due terzi degli asset di proprietà degli enti previdenziali pubblici.

LE PARTECIPAZIONI AZIONARIE.

Oltre al mattone, poi, per ridurre il peso debito statale possono essere utilizzate le attività finanziarie. E' infatti ancora abbastanza significativo il valore delle quote detenute dal Tesoro nel capitale delle società a partecipazione pubblica che, a differenza degli immobili, possono essere cedute in tempi non troppo lunghi. Su questo fronte, l'istituto Bruno Leoni ha realizzato una stima che calcola in almeno 100 miliardi di euro il valore del  patrimonio disponibile. Nel perimetro delle partecipazioni vendibili sono state  incluse però anche quelle in società che spesso rischiano di essere poco interessanti sul  mercato, se prima non viene messo in cantiere un processo di risanamento o di riorganizzazione. E' il caso, per esempio delle Ferrovie dello Stato (che varrebbero da sole più di 36 miliardi) del Gruppo Poste Italiane (3,4 miliardi) o della Rai (690 milioni di euro) su cui, però, difficilmente la politica accetterà di perdere il controllo.

GIOIELLI DI STATO.

Nel tesoretto disponibile, sono stati poi inclusi dall'istituto Bruno Leoni i nomi di salcuni gioielli di stato come Enel (dove il Ministero dell'Economia detiene una quota di oltre il 31%, per un valore complessivo  di almeno 10miliardi) e di Eni (partecipata dallo stato al 30%, per un totale di oltre 21,3miliardi di euro). Va ricordato, però, che entrambe le aziende assicurano ogni anno al loro azionista di maggioranza (cioè al governo) una montagna di dividendi, pari ad almeno il 5-6% del  valore delle azioni. Liberandosi della propria quota di capitale e utilizzandola per ridurre il proprio debito, il governo rischia dunque di impantanarsi in una partita di giro: risparmierebbe un po' soldi per gli interessi pagati sui titoli di stato, ma perderebbe una bella fetta di utili incassati ogni anno dai due colossi dell'industria pubblica.

SACE E FINTECNA IN POLE POSITION.

I gioielli di stato che hanno maggiori probabilità di essere venduti in breve tempo (almeno parzialmente) sono soprattutto due. Il primo è il gruppo Sace , società partecipata al 100% dal Tesoro e attiva nel settore delle assicurazioni sul credito, che ha un patrimonio netto di ben 6,2 miliardi di euro. L'altra società candidata a uscire dal perimetro dello stato è Fintecna (con un patrimonio netto di 2,3 miliardi di euro), che ha un business abbastanza diversificato: controlla Fincantieri (la cui privatizzazione appare però al momento improbabile) e gestisce un ingente patrimonio immobiliare in tutta Italia (attraverso la controllata Fintecna Immobiliare). Già alla fine di maggio, era circolata l'ipotesi di una cessione da parte del Tesoro sia di Sace che di Fintecna (dopo lo scorporo di Fincantieri): il progetto allo studio, però, prevede di non collocare direttamente sul mercato le loro azioni ma di trasferirle in un primo momento alla Cassa Depositi e Prestiti.

L'UNIVERSO DELLE MUNICIPALIZZATE.

C'è infine un ultimo serbatoio di ricchezza disponibile per le privatizzazioni, che potrebbe rappresentare un vero e proprio asso nella manica per il governo. Si tratta dell'universo delle aziende ex-municipalizzate (attive soprattutto nella fornitura di energia e di servizi pubblici), la cui quota di maggioranza è ancora saldamente in mano agli enti locali, benché si tratti ormai di società per azioni. Secondo le stime elaborate nel 2011 da due noti economisti come Roberto Perotti e Luigi Zingales, privatizzando questo insieme variegato di piccole e medie aziende si potrebbero ricavare risorse per almeno 30 miliardi di euro. Bisognerà vedere, però, se gli azionisti di maggioranza (cioè i Comuni, le Regioni e le Province) saranno d'accordo e non faranno ostruzionismo.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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