Limite agli stipendi nelle aziende pubbliche italiane. Costerebbe cara ai manager la tagliola di Hollande
Economia

Limite agli stipendi nelle aziende pubbliche italiane. Costerebbe cara ai manager la tagliola di Hollande

La «regola del 20» prospettata dal presidente francese sarebbe un incubo per i top pubblici italiani. Basta fare due conti

La promessa di una legge per impedire ai manager pubblici francesi di guadagnare oltre 20 volte lo stipendio dei loro dipendenti meno pagati ha fruttato al presidente François Hollande una ventata di popolarità. Anche in Italia, dove una riforma del genere, pur approvata dal Parlamento, è ancora lettera morta.

Il limite agli stipendi nelle aziende pubbliche non quotate in borsa è stato previsto nel decreto salva Italia del presidente Mario Monti, che aveva rinviato la definizione della cifra a un provvedimento del ministero dell’Economia entro 60 giorni. Ne sono passati più di 150 e del testo non si vede l’ombra.

Se anche da noi fosse introdotta la «regola del 20» sul modello francese in tutte le aziende pubbliche, incluse le quotate (400 mila euro lordi annui a dir  tanto, visto che le retribuzioni minime non superano i 20 mila), in molti si vedrebbero tagliare lo stipendio: dall’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, a quello dell’Enel, Fulvio Conti; dal presidente dell’Anas, Pietro Ciucci, all’ad delle Ferrovie, Mauro Moretti.

Un tetto a 93.658 euro l’anno è stato già fissato per i dirigenti interni all’amministrazione (capi di gabinetto e così via), ma anche qui non c’è da cantar vittoria: l’espressione «amministrazioni statali» usata nel decreto lascia fuori un sacco di gente, tanto che per rimediare è stata presentata una proposta di legge. Nessuno, inoltre, è in grado di dire se la regola sia già stata applicata e a quante persone. Al momento il taglio degli stipendi top è poco più di una leggenda metropolitana.  

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Stefano Caviglia