Grilli e la lista delle dismissioni pubbliche
Economia

Grilli e la lista delle dismissioni pubbliche

Escluse Eni, Enel e Finmeccanica in teoria le più facili da vendere. Ecco cosa potrebbe cedere il ministro per incassare, come stimato, tra 15 e 20 miliardi in un anno

Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli, nella sua prima intervista rilasciata domenica al Corriere della Sera, lo ha detto chiaramente: quando il dibattito politico ed economico incrocia il tema delle dismissioni pubbliche, è inevitabile che si cominci a preparare una lista. Un modo come un altro per mettere in fila tutti i patrimoni dello Stato che sarebbe possibile vendere in tempi rapidi per ottenere liquidità da utilizzare per abbattere il debito pubblico. Salito, come ha comunicato oggi Banca d'Italia, al suo massimo storico: 1.966,3 miliardi di euro (89.363 euro a famiglia, 32.771 su ciascun abitante).

Innanzitutto è bene tenere a mente che quando si tratta di vendere partecipazioni pubbliche in aziende o immobili parliamo di operazioni dai modi e dai tempi totalmente diversi. Mettere sul mercato delle azioni infatti è molto più semplice e agile, mentre trovare acquirenti per degli immobili, che non si possono certo vendere a pezzi, richiede tempi decisamente più lunghi.

Sul fronte delle aziende a controllo statale poi, ci sono realtà che funzionano benissimo, altre che necessitano di una riorganizzazione interna prima di poter essere realmente appetibili e altre ancora per le quali bisogna risolvere problemi legati a forme di monopolio, un cui caso eclatante è quello di Poste Italiane, per la quale da tempo si parla di un necessario scorporo di Bancoposta.

Infine, esiste una distinzione fondamentale tra beni posseduti direttamente dallo Stato, e beni di proprietà degli enti locali, molto più difficili da smobilizzare. Stiamo parlando di una giungla di circa 6.800 aziende controllate da Regioni, Province e Comuni e di un patrimonio immobiliare di cui non si conosce precisamente la reale entità, anche se alcune stime parlano di 350 miliardi di valore

Fatte queste necessarie premesse, proviamo ora a stilare la nostra lista della spesa, con l'aiuto di Carlo Stagnaro, direttore dell’Istituto Bruno Leoni che da tempo sostiene la necessità di procedere alle dismissioni per aggredire il debito pubblico nazionale. “Innanzitutto – esordisce Stagnaro – partirei da quelle aziende che non sono citate nell’elenco del ministro Grilli, ma che paradossalmente sarebbero quelle più facilmente cedibili. Mi riferisco a Eni, Enel e Finmeccanica, che essendo aziende quotate, sarebbe possibile vendere in tempi rapidissimi, semplicemente mettendo sul mercato la quota azionaria ancora posseduta dalla Stato”. Aziende peraltro appetibili, perché solide finanziariamente e commercialmente.

Vengono poi alcune “società non quotate – spiega Stagnaro – per le quali oltre a tempi tecnici di vendita più lunghi, ci sarebbero problemi di necessaria riorganizzazione aziendale. Mi riferisco in particolare a Poste italiane, Rai, Ferrovie dello Stato, Inail, Sace, Simest e Fintecna. Le riorganizzazioni di cui parlo potrebbero avvenire in tempi rapidi e comunque entro le prossime elezioni”.

Ultimo capitolo, il più spinoso di tutti, quello degli immobili. Si tratterebbe di andare a spulciare una white list già esistente con 13 mila immobili potenzialmente vendibili. Si parla di un patrimonio di circa 62 miliardi di euro tra vecchie caserme, carceri, magazzini e strutture comunque ormai non più utilizzabili. “Posto che ci vorrebbe innanzitutto un censimento degli immobili di proprietà pubblica – sottolinea Stagnaro – bisogna poi affrontare il tema della destinazione d’uso evitando manovre per definire sottobanco eventuali variazioni al piano regolatore e speculazioni”.

Il percorso è indubbiamente in salita e rischia di concludersi in quelle che Stagnaro definisce privatizzazioni fittizie. “Come i 10 miliardi che si vogliono ottenere dal passaggio di quote di Fintecna, Sace e Simest  alla Cassa depositi e prestiti, che tra l’altro ha già acquisito circa  il 30% della Snam. È vero che ci sarebbe tecnicamente un abbattimento  del debito, però si tratterebbe di una partita di giro tra soggetti statali,  e non dunque di una vera privatizzazione”. Un rischio evidentemente  sentito anche dal ministro Grilli, che si è affrettato a precisare che  non c’è nessuna intenzione di trasformare la Cdp in una nuova Iri.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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