Mps: come la Fondazione sta cambiando il destino della banca
DANIELE SCUDIERI / Imagoeconomica
Economia

Mps: come la Fondazione sta cambiando il destino della banca

Grazie a un'operazione lampo a mercati chiusi, la presidente Antonella Mansi è riuscita a non svendere le quote dell'ente che mantiene il controllo dell'istituto senese

È successo il miracolo.Con un'operazione lampo a mercati chiusi, curata dalla banca americana Morgan Stanley, la Fondazione Mps ha collocato martedì sera il 12% dell'istituto di credito senese a circa 0,23 euro per azione, incassando così 335 milioni di euro che le consentono di estinguere l'indebitamento residuo di 260 - 270 milioni derivato dagli aumenti di capitale effettuati dalla banca nel 2008 e nel 2011.

Il ricavato delle vendite, si legge in un comunicato diffuso su richiesta della Consob, "è prioritariamente destinato alla totale estinzione del debito residuo nei confronti dei creditori finanziatori", ovvero Credit Suisse, Mediobanca e un pool di banche capitanato da JP Morgan.

La vendita di ieri, che dovrebbe essersi concentrata su pochi investitori tra cui alcuni fondi di private equity americani, si affianca al 3% circa che Palazzo Sansedoni aveva ceduto a Piazza Affari nei giorni scorsi, portando il capitale attualmente in mano a Palazzo Sansedoni a quota 15,07%.

Cambia così il destino dell'ente che rappresenta da sempre gli interessi del territorio (e della politica) sulla terza banca del paese di cui resta ancora primo azionista.

Fino a poche settimane fa, infatti, la strada sembrava essere una: l'uscita di scena della Fondazione prima del maxi aumento di capitale da 3 miliardi di euro previsto fra poco più di un mese.

Avendo 340 milioni di euro di debiti e le casse vuote, con un valore delle azioni che a inizio anno era sceso intorno a 0,14 euro, l’ente si sarebbe dovuto diluire fino a quasi scomparire, aprendo così i portoni di Mps alle grandi banche e fondi esteri o a un pool di banche italiane.

E invece no. Con la mossa a sorpresa della presidente Antonella Mansi, affiancata dal direttore generale, Enrico Granata, la Fondazione, grazie anche al recupero del titolo in Borsa nelle scorse settimane (+30% in un mese), è riuscita a non svendere le proprie quote, applicando uno sconto del 3% sul valore del titolo in borsa (poco più di 0,24 euro ad azione), e a mantenere lo scettro della banca.

Mansi, pur di salvare parte del patrimonio di Palazzo Sansedoni, a gennaio infatti disse no all'aumento di capitale, come chiesto dal ceo Fabrizio Viola e dal presidente Alessandro Profumo, facendo slittare l'operazione alla seconda metà di maggio, ma attirando su di sé non poche critiche.

Ma ieri ha vinto la sua scommessa: la città continuerà a controllare Banca Mps, che però a questo punto avrà una compagine azionaria più diluita e internazionale, con il probabile ingresso di fondi di private equity americani (nei giorni scorsi si era parlato anche di fondi sovrani arabi).

Stando all'ultima comunicazione Consob aggiornata al 17 marzo, il giorno precedente la vendita da parte della Fondazione, gli azionisti rilevanti fino a lunedì scorso erano solo tre: Palazzo Sansedoni, che era scesa per la prima volta sotto il 30% (al 29,9%), seguita dalla banca d‘affari americana JP Morgan a 2,527% e dal colosso francese delle assicurazioni Axa al 2,050%, che si è detta pronta a partecipare alla maxi - ricapitalizzazione convinta dal piano industriale firmato da Viola e Profumo.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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