Dipendenti pubblici? Prima di licenziare lavoriamo su performance e responsabilità dei dirigenti
Economia

Dipendenti pubblici? Prima di licenziare lavoriamo su performance e responsabilità dei dirigenti

Sono queste le due priorità per migliorare le performance dei lavoratori del settore pubblico secondo Maurzio Del Conte, docente di diritto del lavoro dell'Università Bocconi

Da quando è stata licenziata la bozza del disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro, il ministro Fornero ha ripetutamente insistito sulla necessità di parificare il trattamento dei lavoratori pubblici a quello dei privati. Senonché la cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego” ha ormai una storia ventennale alle spalle e, in realtà, il primo significativo passo indietro verso un ritorno a due modi separati fra pubblico e privato si trova proprio nell’art. 2 della riforma oggi all’esame del parlamento.

Lì, infatti, si stabilisce che le nuove regole in materia di lavoro valgono solo per i dipendenti delle imprese private, rinviando ad interventi futuri ed incerti l’introduzione di misure che individuino “gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.”

Non c’è da stupirsi, dunque, se il ministro della Funzione pubblica ribadisce puntualmente che la riforma non si applica al pubblico impiego: la sua non è un’opinione, è un fatto. Ma quanto potrebbe contribuire a migliorare l’efficienza e la produttività della Pubblica amministrazione l’estensione ad essa della nuova riforma del lavoro? A ben guardare, non molto.

Si è detto che uno stimolo potrebbe venire dalla licenziabilità dei dipendenti pubblici, così come avviene nelle imprese private. Ma per questo non c’è bisogno dell’ultima riforma perché – sulla carta - è già possibile farlo da molti anni. Nella realtà, però, i casi di licenziamento sono rarissimi e per lo più riconducibili a reati commessi dal funzionario nell’esercizio delle sue funzioni. Insomma, nel pubblico impiego per essere licenziati bisogna farla davvero grossa, mentre un dipendente privato rischia il posto per una assenza ingiustificata.

Le ragioni dell’ impermeabilità del pubblico impiego alla logica privatistica sono molte: alcune nobili, come l’indipendenza e l’amovibilità rispetto alle pressioni della politica; ma quelle più concrete trovano origine nella generale indifferenza rispetto al merito o al demerito del funzionario. La carriera è ancora oggi legata soprattutto alla anzianità e, per le funzioni di vertice, alla arbitrarietà delle nomine di natura politica.

I meccanismi di valutazione della performance, laddove sono previsti, non assegnano incentivi adeguati e il dipendente pubblico che lavora poco e male finisce per non essere penalizzato rispetto al collega più diligente. In più, il dirigente ci pensa due volte prima di sanzionare un suo sottoposto, per non esporsi al rischio di una responsabilità nei confronti dell’erario.

Sono questi i primi punti sui quali si deve intervenire con urgenza se davvero si vuole migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione che, è bene ricordarlo, è oggi più che mai un fattore decisivo per creare un ambiente favorevole a nuovi investimenti produttivi.

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Maurizio Del Conte

Professore associato di Diritto del lavoro e docente di Diritto privato e di Diritto del lavoro. È stato docente a contratto di Diritto del lavoro presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca, facoltà di Scienze della formazione. International visiting professor per il corso di Comparative Labor Law nella University of Richmond, School of Law (Richmond, Virginia) negli a.a. 1999/2000 e 2001/2002. Ha tenuto lezioni nella Università di Tokyo, nella Università di Kyoto e nella Università di Kobe. E' coordinatore di redazione della rivista Orientamenti della giurisprudenza del lavoro e membro del comitato di redazione della rivista Diritto delle relazioni industriali

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