Perché le banche non prestano soldi
Economia

Perché le banche non prestano soldi

L'andamento mensile del credito a famiglie e imprese. Ma di chi è la colpa?

Questo grafico indica l'andamento dell'offerta di credito bancario a famiglie e imprese. I valori sono in percentuale: significa che Bankitalia ha calcolato ogni mese, la variazione di credito rispetto al mese precedente. Il risultato è che le banche concedono sempre meno soldi all'economia reale. Il problema è capire come mai e "di chi è la colpa". Gli istituti di credito sostengono che è "colpa" delle imprese che non chiedono soldi perchè hanno paura di investire in un momento di recessione economica, mentre le imprese sostengono che sono le banche che non concedono prestiti trovando più conveniente investire in strumenti finanziari ritenuti più sicuri oppure più redditizi. Questa diatriba va avanti da sempre: le banche mostrano dati sull'aumento dei prestiti concessi cogliendo quelli a loro più favorevoli, e le imprese li contestano affermando che si tratta di prestiti solo alle grandi imprese, che rappresentano solo l'8% del Pil nazionale.

Ma c'è un dettaglio che forse spiega come stanno davvero le cose. Se avessero ragione le banche, cioè se fosse vero che le imprese non chiedono soldi, vorrebbe dire che manca la domanda di credito. Se mancasse la domanda di credito il "prezzo" del denaro, cioè i tassi d'interesse, dovrebbero diminuire proprio per stimolare i clienti a chiederlo. Eppure non è così. I dati dell'Abi mostrano che tra il 2013 e il 2014 il tasso di interesse sui soldi prestati dalle banche all'economia reale, è salito, anche se di pochissimo: dal 3,79% al 3,83%. Certo, non è un parametro univoco, ma certamente è curioso che, in assenza di domanda (secondo le banche) il prezzo aumenta. Ma non solo. Nell'ultimo anno è anche aumentata la differenza tra ciò che alle banche costa raccogliere il denaro dai risparmiatori e ciò che rende loro il credito concesso. Questo differenziale è aumentato in un anno di 23 centesimi. Significa che le banche danno meno soldi all'economia reale ma su quel poco guadagnano di più. 

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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