Mps, il suicidio di David Rossi e la richiesta (tardiva) di silenzio
Economia

Mps, il suicidio di David Rossi e la richiesta (tardiva) di silenzio

Il peso della trincea mediatica, la perquisizione "in prima pagina" e chissà quale "cavolata" su cui Mps chiede ora riserbo

“È ora che io cambi lavoro, non se ne può più”: così David Rossi, sul finire del novembre scorso, si sfogava con un amico del giro professionale, dello stress che il suo ruolo gli stava provocando. Da sei mesi il Montepaschi era sulla graticola della crisi, eppure il peggio doveva ancora cominciare. Rossi aveva raccolto la fiducia dei nuovi capi, il presidente Alessandro Profumo e l'amministratore delegato Fabrizio Viola: nulla di strano, fin quando la staffetta era sembrata a tutti come il consensuale subentro di un “nuovo corso” dopo una fase eroica ma spericolata che i precedenti gestori, l'ex presidente Giuseppe Mussari e l'ex direttore generale Antonio Vigni, avevano guidato e avevano in qualche modo chiuso, passando il testimone. In quest'ottica, ci “poteva stare” che il capo della comunicazione del “prima” restasse al suo posto nel “poi”: in fondo, i nuovi capi erano stati scelti sostanzialmente da quello uscente, rimasto non a caso sulla poltrona dell'Abi a rappresentare tutti i banchieri.

Eppure, di fronte alle continue bordate di critiche sui conti in dissesto, sugli sperperi veri e presunti, sui sacrifici ingrati ai quali andava incontro il Montepaschi, David Rossi sentiva già tutto – a fine novembre 2012 - il peso di una “trincea” mediatica che iniziava a diventare troppo calda per chiunque. Figuriamoci per uno che appariva ancora espressione di chi a quella crisi aveva condotto la banca. Ma il mestiere è mestiere, David ne aveva da vendere, e pur desiderando cambiare restava nel quadrato a dirigere le operazioni. Senese, attaccatissimo alla sua terra e alla sua città, non aveva in fondo mai programmato seriamente una partenza, un'altra città, una vita diversa. Era stato imprenditore, era stato giornalista, da dirigente bancario era cresciuto molto, si era fatto stimare, l'incalzante degenerare della crisi lo trovava fermo ma come stupito.

Tutto questo finchè, a gennaio, è esplosa la crisi definitiva, quella dei conti truccati, dei derivati nascosti, del buco doppio o triplo rispetto a quello noto: e questa nuova “crisi nella crisi” aveva posto Rossi in una condizione oggettivamente lacerante, quella di chi per far bene il suo lavoro e difendere l'azienda non poteva che indicare le responsabilità di persone delle quali era stato leale collaboratore fino a pochi mesi fa e che aveva in somma misura contribuito a edificare come personaggi pubblici positivi.

David Rossi non era un cinico, di quelli scaltri, pronti a voltare gabbana e scaricare oggi gli amici di ieri, e il dovere di farlo – in nome nelle nuove esigenze di trasparenza e ”bonifica” dell'istituto – è stato senz'altro faticosissimo da sostenere, pari all'amarezza di accorgersi che persone sicuramente da lui stimate erano state in realtà inadeguate ai ruoli che avevano rivestito e in cui le aveva sostenute. Evidentemente, tutto questo gli era costato un prezzo psicologico molto alto. Uno stress interiore, che ha fatto leva su quel fondo di cupezza che di quando in quando aveva manifestato negli ultimi anni e che l'ha spinto a un gesto privo di agganci alla benchè minima motivazione razionale: per quanto possa aver commesso una “cavolata”, come pare che abbia scritto in un biglietto per la moglie poi accartocciato e cestinato, nessuna poteva essere più grave di quelle commesse da chi, ben al di sopra di lui, ha firmato e controfirmato operazioni disastrose e oggi, per quanto nell'angolo, si guarda bene (e con ragione) dal togliersi la vita...

Mai come nel settore bancario e finanziario, peraltro, la comunicazione non è qualcosa di avulso dal business, e quindi dalla continuità stessa dell'impresa: e Rossi lo sapeva, lo teorizzava. Per una banca, per una compagnia d'assicurazioni, la reputazione è un vero e proprio “asset” da presidiare: è il catalizzatore della fiducia dei clienti, è la diga contro il panico, il patrimonio intagibile che Basilea 3 non sa pesare ma fa la differenza, per una grande banca, tra il vivere e il morire.

''In questo anno durante il quale abbiamo lavorato fianco a fianco abbiamo avuto modo di apprezzare in David le qualità umane, la sensibilità, la professionalità, l'attaccamento alla Banca”, hanno ben detto poco fa Profumo e Viola in una nota congiunta: “Per questi motivi abbiamo confermato e rinnovato la nostra fiducia come Responsabile della Comunicazione, ruolo che ha svolto con assoluta capacità e dedizione, seppur in una fase particolarmente delicata". La sua scomparsa, continua la nota, “seppur nella sua tragicità, rinnova e rafforza l'intensità della nostra determinazione nel procedere nel percorso che abbiamo intrapreso. Di fronte alla tragedia che l'ha colpita, la Banca Monte dei Paschi di Siena chiede il silenzio come forma di rispetto nei confronti di David Rossi".

Un silenzio, certo, che adesso è d'obbligo, adesso che la crisi ha avuto il suo sangue, adesso che Rossi ha deciso di sottrarsi nel modo più cruento al tritacarne in cui le inchieste – peraltro sacrosante in sé, ma come sempre in Italia non nella loro iper-visibilità mediatica - avevano ficcato prima la banca, poi i suoi vecchi vertici e quindici giorni fa, ipocriticamente, anche lui, perquisito “in prima pagina” senza essere nemmeno indagato.

Una maniera indegna per affermare, senza firmarlo, che in qualche modo anche lui avrebbe potuto essere coinvolto, come corresponsabile di qualche “cavolata”. Cosa sia passato ieri sera nel cuore e nella mente di David Rossi – ridotto allo stremo psicologicamente per il cumulo di stress che aveva sostenuto - non potremo mai saperlo; ma come non si dovrebbe lasciar trapelare le notizie giudiziarie irrilevanti ai fini della verità e velenose per le persone. Lo sappiamo da tempo eppure continua a far danni ogni giorno.

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Sergio Luciano