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ALESSANDRO VIAPIANO / Imagoeconomica
Economia

È morto Claudio Sposito, fondatore di Clessidra

Il ricordo del banchiere d'affari, che dava "tempo al denaro", stroncato da un male improvviso che ha sconvolto il mondo della finanza italiana

“Sì, lo so che in una grande banca d’affari americana potrei essere più libero nei miei movimenti professionali, ma, per me, è arrivato il momento di costruire”: ragionò su questo concetto Claudio Sposito – il banchiere d’affari che ieri notte una leucemia incurabile si è portato via a 60 anni - quando nel ’98 decise di lasciare Morgan Stanley Italia, dov’era managing director, cioè direttore generale, per accettare di fare l’amministratore delegato della Fininvest, la holding alla guida di tutto il gruppo Berlusconi, sostituendovi Ubaldo Livolsi.

E nei cinque anni trascorsi in Fininvest, dopo essere stato dall’esterno tra i registi della quotazione in Borsa di Mediaset, perseguì l’obiettivo di dare struttura e organizzazione da grande holding industriale alla finanziaria cresciuta esponenzialmente in pochi anni seguendo le iniziative imprenditoriali del Cavaliere.

Un ottimo rapporto, quello tra lui e Berlusconi, uno dei pochi professionalmente “alla pari”, una viva simpatia umana – Sposito era una persona cordiale e alla mano – e anche per questo un percorso professionale netto, senza attriti, risoltosi poi soltanto perché aveva deciso di concentrare su un’azienda propria, Clessidra, quel desiderio di “costruire valore”, che in fondo aveva animato il suo stesso passaggio al Biscione. Al punto che alla fine Berlusconi comprese e sostenne quella scelta, investendo nel primo fondo di private equity lanciato dalla società.

Clessidra, come l’antico orologio che segna le ore con la fisicità della polvere che cade da un cono di vetro all’altro, a sottolineare l’importanza di dare tempo al denaro per farlo lavorare bene. Clessidre che ornavano come soprammobili gli uffici della finanziaria in via del Lauro a Milano; una clessidra ingiusta quella che ha esaurito molto prima di quanto sarebbe stato naturale la vita di Claudio, una persona sempre in ottima forma, fino all’estate scorsa, maratoneta con qualche trofeo, padre di due figli ancora giovani.

Sposito è stato tra i pochissimi italiani ad essersi “inventati” imprenditori della finanza: costruendo una realtà solida e dimensionalmente significativa, numero uno sul mercato italiano del private equity privato. E l’aveva fatto all’insegna di alcuni chiari principi. Innanzitutto l’indipendenza, nel perseguire solo l’interesse degli investitori. “Clessidra fa dell’indipendenza il suo valore fondante”, aveva dettato in una nota al tempo della sua offerta, respinta da Telecom, per acquisire La7, venduta poi con dote a Urbano Cairo, “e persegue la sua attività  di investimento solo nell’interesse dei propri investitori, finalizzato alla creazione di valore senza nessun vincolo o condizionamento”.

E del resto, nel 2003, lasciare la poltrona di amministratore delegato della holding capofila dell’impero Berlusconi non avrebbe potuto che essere prova di un grande, e coraggioso, desiderio di autonomia imprenditoriale.

Ma non solo l’indipendenza: anche il criterio della migliore convergenza degli interessi, pur nel perseguimento del business. Il metodo “win-win”, come dicono gli americani: tanto che non si ricordano scontri, carte bollate, ostilità o denunce nella carriera di Sposito e dei suoi. Anche qualche rapporto non trascorso sempre in rosa, ad esempio quello con un altro imprenditore di razza come l’armatore Vincenzo Onorato, aveva alla fine trovato una composizione consensuale senza trasformare le divergenze in scontri societari ingestibili. E infine, la semplicità: per chi ha in mente gli “yuppie” della finanza d’affari, disegnati da Oliver Stone o da Di Caprio, ecco, Sposito era proprio di un altro pianeta, non “se la tirava”, né nel vestire né nell’atteggiarsi, né nei rapporti umani, e pur essendo perfettamente bilingue non disdegnava di lasciare trapelare dalla sua parlata italiana l’accento romano che aveva da sempre.

Clessidra ha maturato, nei due fondi con i quali ha finora operato, un rendimento (non ufficiale) superiore al 30 per cento. E negli ultimi mesi aveva intrapreso una stagione di rinnovato attivismo: l’acquisizione del 90% di Roberto Cavalli (insieme ad altri fondi internazionali), dell’80% di Arredo Plast, dell’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane (Icbpi) in cordata con Advent International e Bain capital. E la raccolta di investimenti per il terzo fondo, con un obiettivo di un miliardo di capitali.

Senza di lui, Clessidra non sarà più la stessa ma – ed è l’altra rara dote che tutti riconoscevano a Sposito – il fondatore aveva saputo costruire una squadra vera, e se n’era avvalso, perché non aveva il tarlo dell’accentramento e volentieri delegava ai suoi collaboratori e partner più fidati anche la gestione dei dossier più complessi. Una squadra di amici, innanzitutto, che senza dubbio sarà in grado di portare avanti la missione di successo dell’azienda.

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Sergio Luciano