Pensioni: come funziona il riscatto della laurea (e come potrebbe cambiare)
Alessandro Bianchi/Ansa
Economia

Pensioni: come funziona il riscatto della laurea (e come potrebbe cambiare)

Il governo mira a rendere più flessibile il conteggio degli anni di università per i lavoratori che vogliono mettersi a riposo prima

Regole più flessibili per riscattare gli anni dell'università. E' la novità che potrebbe interessare dal2017 molti lavoratori italiani, che potranno così andare in pensione un po' prima del previsto, invece che a 66 anni inoltrati come impone oggi la Riforma Fornero. Il governo, secondo quanto è trapelato finora, sta infatti studiando misure ad hoc per consentire ai nostri connazionali di far conteggiare più facilmente, nella propria anzianità di carriera, anche gli anni trascorsi sui banchi dell'università per raggiungere il tanto ambito titolo di dottore.

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A dire il vero, già oggi il riscatto della laurea è accessibile a chiunque abbia terminato il corso di studi in qualsiasi ateneo. Si tratta però di una pratica molto meno diffusa rispetto ai decenni scorsi, perché è diventata un po' troppo costosa rispetto ai benefici che offre. Per riscattare la laurea, infatti, bisogna pagare all'Inps almeno 4 o 5 annualità di contributi aggiuntivi, corrispondenti alla durata complessiva degli studi (escludendo gli anni fuori corso). L'ammontare dei versamenti viene calcolato sulla base della retribuzione percepita dal lavoratore nell'anno precedente la domanda di riscatto, sulla base dell'aliquota pensionistica di ogni categoria professionale (per i dipendenti è il 33% circa dello stipendio). Esempio: nel caso di un lavoratore dipendente che ha studiato all'università per 4 anni e guadagna 20mila euro lordi, la cifra da pagare è pari a circa 26.500 euro, così calcolata: sullo stipendio lordo di 20mila euro viene applicata l'aliquota del 33%, che comporta un versamento contributivo di 6.600 euro ogni 12 mesi. Moltiplicando quest'ultima cifra per 4 anni, si ottiene appunto un esborso finale di quasi 26.500 euro, che può essere versato all'Inps nell'arco di 10 anni, con 120 rate mensili di 220 euro. Si tratta indubbiamente di una cifra impegnativa che, tra l'altro, comporta anche una scommessa dall'esito incerto.


Pochi benefici

Aumentando la quantità di contributi versati, ovviamente si ottiene una pensione più alta a fine carriera. Tuttavia, facendo gli scongiuri, c'è sempre il rischio che un lavoratore non riesca ad arrivare alla tanto attesa età della pensione. In questo caso, l'aspirante pensionato avrà dunque regalato dei soldi all'Inps, senza ottenere alcun beneficio. Meglio allora usare i versamenti necessari a pagare il riscatto della laurea per crearsi un piano di risparmio personale e mettere da parte un gruzzoletto da lasciare poi in eredità ai propri discendenti. Un tempo il riscatto della laurea era molto più diffuso di oggi perché, pur essendo impegnativo economicamente, permetteva di raggiungere la soglia strategica di 35 anni di contributi, che dava accesso alle vecchie e care pensioni di anzianità. Oggi, visto che le pensioni di anzianità sono scomparse, il riscatto degli anni di università è finito un po' nel dimenticatoio, tanto più se si consideraun aspetto importante: gran parte dei giovani di oggi si congederà dal lavoro dopo i 70 anni con la pensione di vecchiaia, cioè con l'assegno che matura esclusivamente in base all'età, a prescindere dagli anni di carriera. Per chi avrà la pensione di vecchiaia, dunque, aggiungere altre annualità di contributi non ha la stessa utilità che aveva un tempo quando c'erano gli assegni di anzianità.


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Ora, però, il governo sembra intenzionato a voltare pagina. Per dare nuovo impulso al riscatto della laurea, l'esecutivo vuole infatti rendere più flessibile questa pratica, consentendo per esempio di versare solo in parte i contributi relativi agli anni di universitào di versarli per un periodo più breve rispetto all'intero corso di studi accademici. Chi vuole congedarsi dal lavoro a 63-64 anni anziché a 66, dunque, potrebbe presto avere la possibilità di fasi conteggiare solo una parte degli studi, pagando una cifra più abbordabile. Bisognerà vedere, però, se queste regole più elastiche basteranno per convincere molti lavoratori a mettere mano al portafoglio e ad aggiungere altri contributi alla montagna di versamenti che già hanno effettuato.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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