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Economia

Il precariato in Europa

Il ritratto drammatico di una generazione che non trova lavoro fisso visto dagli Stati Uniti

Il precariato in Europa. E' questo il titolo di un inchiesta pubblicata dal New York Times che mette in evidenza come, purtroppo, per quanto l'economia dei Paesi dell'Unione si stia riprendendo, più della metà di tutti i nuovi posti di lavoro creati a partire dal 2010 ricada nella categoria degli impieghi "a tempo determinato".

L'impatto della crisi sull'occupazione

È l'eredità di una crisi finanziaria dolorosa, che ha reso i datori di lavoro diffidenti nei confronti dell'impegno a lungo termine derivante dall'assunzione di dipendenti a tempo indeterminato. Il contesto di crescita economica ancora debole non aiuta a superare questa difficoltà, tanto più che in molti Paesi i lavoratori assunti a tempo indeterminato sono difficili da licenziare e hanno retribuzioni e benefici maggiori, quale che sia il settore di impiego.

Liz Alderman, giornalista del New York Times, ha intervistato le persone che subiscono questa situazione e sono costrette a un precariato permanente. Per molti cittadini europei, la vita si è trasformata in un ciclo ininterrotto di ricerca di lavoro, che distrugge ogni seria prospettiva di carriera e, allo stesso tempo, mina la fiducia in sé stessi.

Precariato, famiglia e diritti

Una conseguenza preoccupante, ad esempio, è che i giovani rinviano a un momento che sembra sempre più lontano la decisione di sposarsi e mettere su famiglia, mentre è cambiata la mentalità di chi cerca lavoro, pronto a dimenticarsi dei propri diritti e ad essere grato per qualsiasi occasione gli venga offerta.

Opportunità all’estero

Fra le storie raccolte dalla giornalista, c'è anche quella di una cittadina italiana. Si tratta dell'oncologa Alessandra Sisco, trentacinquenne, che si è trovata a dover lasciare l'Italia per trovare un lavoro stabile. Dopo la specializzazione, è rimasta intrappolata in una ragnatela di contratti a breve termine: tre contratti da cinque mesi l'uno, mentre, secondo Liz Alderman, i posti migliori venivano assegnati solo a chi aveva i contatti "giusti".

La Dottoressa Sisco non faceva che continuare ad aggiornare il proprio CV, per aggiungere le nuove, brevi, esperienze lavorative, e viveva nella speranza, ogni volta infranta, che i suoi contratti venissero trasformati in qualcosa di più solido. Dopo un colloquio con un ospedale a New York, ha deciso di provare a fare il grande salto, nonostante questo possa significare ripartire daccapo e dover fare apprendistato per altri cinque anni. Ma per la nostra connazionale, l'importante è sentirsi realizzata: "Quando ti senti realmente apprezzata per il tuo lavoro, sei felice", ha dichiarato al New York Times. Che lascia intendere, non senza una velata amarezza, che la dottoressa italiana può persino considerarsi una privilegiata visto che, a differenza di tanti suoi coetanei europei, ha trovato lavoro nel settore in cui è specializzata.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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