Inps
Ettore Ferrari/Ansa
Economia

I conti dell'Inps con gli incentivi alle assunzioni

Crescono i contributi incassati (+1,36%) ma gli sgravi sui neoassunti costeranno quasi 2 miliardi nel 2015. Per questo, non potranno durare all'infinito

Circa un miliardo in più rispetto all'anno scorso. E' quanto ha incassato l'Inps sotto forma di contributi da lavoro dipendente, nei primi 9 mesi del 2015. La ripresa economica e l'aumento dell'occupazione, dunque, hanno cominciato a farsi sentire e hanno fatto crescere dell'1,36% (al livello complessivo di 76,5 miliardi di euro) la contribuzione raccolta da gennaio a settembre di quest'anno, tra tutti i lavoratori subordinati italiani.


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In queste cifre incoraggianti (esposte oggi in un'audizione alla Camera dalla direttrice delle entrate Inps, Gabriella di Michele), c'è però un dettaglio che va analizzato con cura. Se non ci fossero stati gli incentivi alle assunzioni introdotti dal governo Renzi nel gennaio scorso, le entrate dell'istituto nazionale della previdenza sarebbero cresciute (almeno in teoria) del 2,5%, cioè di 1,4 miliardi in più. Da quest'anno, infatti, ogni impresa che assume un dipendente a tempo indeterminato (o converte un contratti precario in un inquadramento stabile) non paga i contributi previdenziali dovuti, sino a un massimo di 8mila euro all'anno. Grazie a tale incentivo, il numero di assunzioni stabili è cresciuto molto negli ultimi mesi ma, contemporaneamente, nelle casse dello stato è venuto appunto a mancare quasi un miliardo e mezzo in tre trimestri, come ha ricordato oggi la manager dell'Inps. Considerando anche gli ultimi mesi dell'anno, l'ammanco totale per il bilancio pubblico potrebbe salire a circa 1,8-2 miliardi.


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Conti alla mano, ben si comprende come gli incentivi introdotti a inizio anno, che hanno una durata di 36 mesi, non siano facilmente sostenibili nel lungo termine. Se confermati anche nel 2016, per esempio, farebbero salire il costo totale per lo stato a quasi 4 miliardi: circa 2 miliardi per i lavoratori già assunti nel 2015 (che hanno diritto agli sgravi per tutto il triennio successivo) e altri 2 miliardi per quelli che avranno un contratto a tempo indeterminato da gennaio prossimo. Il copione è destinato a ripetersi nel 2017, quando la platea dei beneficiari si amplierà e l'onere per le casse dello stato potrebbe salire ad almeno 6 miliardi.


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Senza dimenticare, poi, che una ripresa ancor più marcata dell'occupazione potrebbe far crescere ulteriormente il numero di aziende che chiedono l'incentivo, con un conseguente extra-costo per lo stato . Ecco dunque spiegato perché il governo sta pensando di rendere meno generosi gli sgravi contributivi, magari riducendone la durata a 2 anni o abbassando il tetto massimo a 4mila euro, dagli attuali 8mila. Altre ipotesi sono quelle prese in esame sul sito LaVoce.info dall'economista Marco Leonardi (che è anche consulente del governo ma che, nel suo editoriale su LaVoce.info ha precisato di esprimere un parere strettamente personale). Se venissero circoscritti solo alle donne o alle regioni del Sud, secondo i calcoli di Leonardi, gli incentivi costerebbero molto meno, cioè tra 700 e 800 milioni di euro nel 2016 e 1,9-2,1 miliardi di euro all'anno entro nel 2018. Qualunque soluzione prevalga, tuttavia, per Leonardi una cosa è certa: se si vuole che il contratto a tempo indeterminato “diventi la forma di assunzione prevalente nel mercato del lavoro, è necessario che sia meno costoso di quello a tempo determinato”. Altrimenti, senza alcun incentivo, molte assunzioni stabili rischiano di andare a farsi benedire.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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