Top manager: più alto lo stipendio, più basso il risultato
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Economia

Top manager: più alto lo stipendio, più basso il risultato

Una relazione inversamente proporzionale lega il compenso dei manager alle performance finanziarie dell'azienda

Più alto lo stipendio, peggiore sarà il risultato. Forbes rilancia  una ricerca firmata dalla David Eccles School of Business dell’Università dello Utah che evidenzia una relazione inversamente proporzionale fra il compenso di un amministratore delegato e le performance finanziarie e aziendali rispetto ai concorrenti. La ricerca ha preso in considerazione una casistica che abbraccia 1.500 aziende con la più alta capitalizzazione di cui i ricercatori hanno analizzato l'andamento dal 1994 al 2013. I risultati, dunque, smentiscono la convinzione - che accomuna consulenti finanziari, consiglieri di amministrazione e investitori - che gli amministratori delegati prendono le migliori decisioni per l'azienda, quando sono coinvolti nella partita. Una buona fetta dei compensi dei ceo più pagati del mondo, infatti, è offerta sotto forma di azioni e stock option, come nel caso di Larry Ellison, che secondo Business Insider  è il ceo americano più pagato al mondo e che lo scorso anno ha portato a casa un dollaro di stipendio e 77 milioni di dollari in azioni.

Un’altra conclusione controintuitiva della ricerca evidenzia che gli effetti negativi delle scelte manageriali sono molto più pronunciati nelle 150 aziende con i ceo più pagati al mondo. Anche se i ricercatori ammettono che potrebbero esserci eccezioni alla regola, i risultati dimostrano che le aziende con i manager meglio pagati hanno avuto le performance finanziarie peggiori. Cioè, in termini di ritorni azionari, hanno reso il 10% medio in meno rispetto concorrenti. Salendo nel ranking dei compensi, la tendenza si accentua ulteriormente: le aziende con il 5% dei ceo più pagati, in media, hanno avuto performance inferiori del 15% rispetto a quelle dei concorrenti. La spiegazione? Per i ricercatori si tratta di un eccesso di fiducia in se stessi. Rispetto agli altri, i ceo superpagati tendono ad avere un atteggiamento meno critico delle proprie decisioni. “In pratica, ignorano le informazioni che contraddicono le loro opinioni, perché pensano sempre di essere nel giusto”, commenta uno dei ricercatori. Quindi, tendono a investire in progetti che non hanno un ritorno positivo per gli investitori. Addirittura, confrontando le performance dei 150 ceo meno pagati rispetto a quelli più pagati, i ritorni sono stati tre volte più alti per i manager meno pagati, rispetto a quelli più pagati. 

E non finisce qui: i ricercatori, infatti, hanno anche scoperto che più a lungo i manager sono al comando, peggiori saranno le performance dell’azienda rispetto ai concorrenti. Gli esperti spiegano che, in questo caso, entra in gioco il fatto che gli amministratori delegati possono nominare “alleati” nel consiglio di amministrazione che tenderanno a difendere le posizioni del capo. I ceo più pagati e in carica dal tempo più lungo hanno performance azionarie triennali inferiori fino al 22% rispetto ai concorrenti. Come se non bastasse, i ceo più pagati tendono a rendere anche a se stessi un cattivo servizio. Quando si tratta di incassare le stock option, fra i ceo meno pagati, il 33% ha tenuto le azioni fino a quando le avrebbe potuto realizzare un profitto. Fra i ceo più pagati, invece, l’88% ha tenuto le azioni anche quando, vendendole, avrebbe potuto guadagnare. Quanto a una possibile soluzione, c'è chi suggerisce di inserire una clausola contrattuale che preveda un taglio del compenso nel caso in cui la performance finanziaria sia inferiore a quella di concorrenti. In realtà, il pensiero che va per la maggiore è che i ceo, in generale, siano pagati semplicemente troppo, ma il Dodd-Frank Act che, fra l'altro, impone alle aziende quotate di comunicare il differenziale fra il compenso del ceo e la retribuzione media aziendale non ha ancora trovato applicazione per i ritardi della Sec.  

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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