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Economia

Artigiani, ecco perché sono sempre di meno

La Cgia di Mestre segnala un preoccupante crollo di nuovi apprendisti, soprattutto a causa della perdurante crisi. Ma non solo

Che l’Italia non fosse più un Paese di artigiani era chiaro a molti già da anni, soprattutto considerando le difficoltà che sempre più spesso si incontrano, in particolare nelle grandi città, a reperire un fabbro, un falegname o anche solo un idraulico o un elettricista. Ora a confermare questa sensazione, arrivano i dati nudi e crudi della Cgia di Mestre, che evidenziano come, soprattutto in questi ultimi anni, ci sia stato un crollo quasi verticale dei nuovi giovani apprendisti che avrebbero dovuto appunto garantire un ricambio soprattutto ai vecchi artigiani andati perlopiù in pensione.

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La Cgia, nella sua puntuale ricerca, offre innanzitutto un quadro generale, rilevando che tra il 1970 e il 2015 gli apprendisti presenti nel nostro mercato del lavoro sono diminuiti del 43 per cento. Se in pieno boom economico superavano infatti le 721mila unità, l’anno scorso sono scesi a quasi 410mila occupati. E se già questi dati complessivi appaiono preoccupanti, ancora più allarmanti sono quelli che riguardano in maniera specifica il settore artigianale. Infatti, prendendo in considerazione il periodo più ristretto che va dall’inizio della crisi (2009) al 2015 gli apprendisti occupati nelle sole aziende artigiane sono diminuiti ben del 45 per cento. La ripartizione geografica più colpita da questa moria è stata sicuramente il Mezzogiorno (-61 per cento), seguono il Centro (-44 per cento), il Nordovest (-43 per cento) e il Nordest (-33 per cento).

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Secondo le analisi eseguite dalla Cgia di Metsre, si tratta certamente di una sorta di trend storico, che però, andando a spulciare nel dettaglio i dati, presenta un andamento altalenante, con picchi di diminuzione che si vanno a posizionare nei periodi di crisi, quali quelli attuali. Quindi un primo dato certamente incontrovertibile è quello che lega il calo di apprendisti e dunque di futuri artigiani, alla crisi economica. In sostanza accade che le piccole imprese e i micro-laboratori non ce la fanno a sopportare l’impiego di manodopera giovane, perché oppressi dalla crisi. Ma, secondo le considerazioni della Cgia, non c’è da sottovalutare anche un aspetto più strettamente sociologico, che ha visto con il tempo calare sensibilmente la considerazione economica, e quindi sociale, del mestiere di artigiano, considerato sempre più un lavoro si serie B, rispetto ad altre occupazioni.

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“Al di là della necessità di rilanciare la crescita e conseguentemente anche l’occupazione, - spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia – è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. Anche se bisogna evidenziare che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione”. Dunque, per il rilancio dell’artigianato, una volta vero e proprio fiore all’occhiello del Made in Italy, non sarà sufficiente l’uscita dall’attuale stato di crisi economica, ma ci vorrà anche uno sforzo culturale, che porti a una radicale riconsiderazione del valore sociale del lavoro artigianale. Una prospettiva assolutamente da perseguire, perché potrebbe aprire tante nuove opportunità di lavoro a migliaia e migliaia di giovani.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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