Lavoro e produttività: così il governo vorrebbe cambiare i contratti
Economia

Lavoro e produttività: così il governo vorrebbe cambiare i contratti

Il premier Mario Monti vuole favorire gli accordi negoziali nelle singole aziende, per rendere più flessibili le retribuzioni. Ma l'ultima parola spetta a imprese e sindacati, compresa la Cgil

Cambiare i contratti di lavoro per aumentare la produttività nelle aziende. E' ambizioso il progetto che il premier Mario Monti, e il suo governo tecnico, hanno messo in cantiere nelle ultime settimane, dando inizio a un faticoso confronto tra le parti sociali.

L'obiettivo è quello di favorire  la contrattazione aziendale , cioè gli accordi tra i sindacati e la proprietà delle singole imprese, per regolare meglio i rapporti di lavoro e accrescere il rendimento dei dipendenti. Nello specifico, i contratti collettivi nazionali, che oggi hanno un ruolo determinante nel mercato del lavoro italiano, avrebbero il compito di definire i diritti minimi dei dipendenti, su alcuni punti importanti: per esempio sul trattamento economico di base o gli orari settimanali.Tutto il resto (ferie, turni, permessi, incentivi salariali), verrebbero invece regolati dagli accordi aziendali, sulla base delle specifiche esigenze produttive di ogni impresa.

L'ACCORDO DEL 28 GIUGNO 2011.

A ben guardare, il compito di cambiare i contratti non spetta affatto al governo. Piuttosto, l'esecutivo guidato da Mario Monti può avere soltanto un ruolo di stimolo, per favorire un'intesa tra le parti sociali, cioè tra le aziende e i maggiori sindacati. Peccato, però, che la riforma della contrattazione non sia poi una grande novità. Già l'anno scorso, il 28 giugno del 2011, con la regia del governo Berlusconi, la Confindustria ha firmato infatti un protocollo d' intesa con Cgil, Cisl e Uil , proprio per favorire lo sviluppo di accordi nelle singole aziende. Si tratta però di un documento che, almeno finora, di fatto è rimasto  "lettera morta" e che ha incontrato non poche opposizioni all'interno della Cgil, in particolare da parte della Fiom, la federazione degli operai metalmeccanici, che ha un peso notevole all'interno del sindacato di Susanna Camusso.

Con l'accordo del 28 giugno, Confindustria e sindacati hanno deciso che gli accordi aziendali potranno regolare nel dettaglio i rapporti di lavoro nelle singole imprese, fissando anche (se necessario) regole diverse da quelle inserite nei contratti collettivi nazionali di categoria. Lo scopo è  proprio quello di aumentare la produttività e salvaguardare l'occupazione. Tuttavia, c'è da chiedersi quali novità potrebbero ora arrivare dall'iniziativa del premier Monti visto che, a oltre un anno di distanza dall'intesa del 28 giugno, la contrattazione aziendale non è ancora decollata. Probabilmente, il governo si augura adesso che i contenuti di quell'intesa vengano finalmente implementati (cioè trasformati in atti concreti) nei contratti collettivi di lavoro in scadenza nei prossimi mesi (in totale sono ben 50). Inoltre, l'auspicio di Monti è che l'accordo dello scorso anno venga sottoscritto anche dalle organizzazioni di categoria che non l'hanno ancora  firmato, cioè l'Abi (l'associazione bancaria italiana), i rappresentanti delle cooperative e delle confederazioni del commercio e del terziario.

L'OPPOSIZIONE DELLA FIOM.

Se riuscisse a completare questi due passaggi, Monti potrebbe dichiararsi soddisfatto del risultato raggiunto, soprattutto se il negoziato terminerà positivamente prima della scadenza prefissata: il prossimo mese di ottobre, quando il premier volerà a Bruxelles per il  vertice europeo. Gli ostacoli che il governo incontrerà sulla propria strada, tuttavia, non saranno certamente pochi. Innanzitutto, va ricordato che i sindacati, e in particolare la Uil e la Cgil, chiedono a Monti delle contropartite importanti, cioè un abbassamento delle tasse sui salari e sulle tredicesime e una nuova politica industriale per stimolare l'occupazione. Inoltre, all'interno della stessa Cgil, c'è chi non ha gradito affatto l'accordo del 28 giugno e vorrebbe vederlo stracciato.

E' il caso appunto della Fiom che teme un forte indebolimento dei contratti collettivi di lavoro nazionali. I singoli accordi aziendali, infatti, diventeranno vincolanti per tutti i lavoratori dell'impresa, qualora vengano approvati dalla maggioranza dei membri di una Rsu (la rappresentanza unitaria sindacale all'interno di una fabbrica). La  Fiom rischia così di venire emarginata da Uil e Cisl e di finire in minoranza in alcune aziende (come è avvenuto alla Fiat ), pur essendo il sindacato metalmeccanico più rappresentativo a livello nazionale.

EFFETTI A LUNGO TERMINE.

Infine, va detto pure che gli effetti sulla produttività del lavoro portati in dote  dall'accordo del 28 giugno non si vedranno certo dall'oggi al domani (ammesso che ci saranno). Il protocollo d'intesa firmato lo scorso fissa infatti dei paletti ben precisi: i nuovi accordi aziendali potranno i regolare esclusiavamente le materie delegate dal contratto collettivo di categoria. Saranno dunque gli stessi contratti nazionali (molti dei quali devono essere ancora rinnovati) a stabilire  prima di tutto le regole del gioco, lasciando poi alle singole aziende e ai loro dipendenti la  libertà di accordarsi soltanto su specifici punti: dai turni, alle ferie sino agli incentivi salariali. Il cammino, insomma, non sarà certamente breve.

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