Economia

Lavoro, la professione del Welfare Manager (parte 1)

Dopo davvero troppo tempo, la scorsa settimana sono riuscito finalmente a bermi una birra in santa pace insieme a due vecchi amici con cui ho trascorso i miei anni migliori, quelli dell’università; attualmente lavorano entrambi nella stessa azienda e nonostante il …Leggi tutto

Dopo davvero troppo tempo, la scorsa settimana sono riuscito finalmente a bermi una birra in santa pace insieme a due vecchi amici con cui ho trascorso i miei anni migliori, quelli dell’università; attualmente lavorano entrambi nella stessa azienda e nonostante il loro affiatamento e l’appagamento per il ruolo ricoperto, da come parlavano mi sono subito sembrati piuttosto insoddisfatti della realtà aziendale, a loro dire troppo poco attenta alle esigenze dei dipendenti.

Un tema questo molto delicato e sentito soprattutto perché il mondo del welfare aziendale rappresenta per certi aspetti – non solo, che sia chiaro – lo specchio del benessere delle persone che lavorano all’interno di un’organizzazione. Dato che il tempo trascorso in ufficio corrisponde grosso modo a una seconda vita, ho sempre pensato che dovrebbe essere gestito e vissuto nel miglior modo possibile.

Una professione emergente in questo ambito è quella del Welfare Manager, ma prima di analizzarla nel dettaglio ho parlato con Monica Boni, Direttore Business Unit di Edenred, realtà leader nei buoni servizio prepagati per le imprese e che elabora e sviluppa soluzioni destinate al benessere dei dipendenti, per capire meglio alcuni aspetti del settore.

Quali sono i principali interventi/servizi di welfare aziendale messi in atto dalle imprese?

Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria escalation dell’interesse nei confronti delle soluzioni che possono contribuire a migliorare il welfare dei lavoratori. Quando si parla di welfare aziendale, si apre un mondo multiforme e complesso che varia da azienda ad azienda in base alla cultura organizzativa, alle caratteristiche del personale (in termini anagrafici e socio-culturali), al tipo di attività svolta, alla presenza e distribuzione sul territorio. Si può dire che ogni impresa ha una propria “impronta digitale” che la caratterizza e la rende unica. Per questo anche i programmi di welfare variano molto. Ciò detto, la nostra esperienza quali gestori di progetti per il welfare dimostra che esistono anche alcuni punti in comune tra le esigenze emerse nelle diverse realtà e che è possibile utilizzare soluzioni che semplificano e rendono il welfare accessibile.

In particolare noi abbiamo lavorato su:

-       Soluzioni di “carrello della spesa” per dare più potere d’acquisto ai lavoratori grazie anche alle agevolazioni fiscali previste dal TUIR (art. 51 comma 3). Fino a 258 € per persona all’anno è possibile erogare buoni acquisto beneficiando di significativi risparmi fiscali.

-       Maggiordomo aziendale: una persona che è presente fisicamente in azienda per alcune ore alla settimana e aiuta i dipendenti nel disbrigo di pratiche amministrative e commissioni personali. Un servizio di “risparmio tempo” molto apprezzato soprattutto dalle donne perché non costringe a dedicare parte del proprio tempo libero a commissioni noiose o ripetitive.

-       Servizi alla persona: sempre più aziende sono interessate a dare supporto per il pagamento di servizi quali baby-sitting, dopo scuola, personale di cura per persone non auto sufficienti.  Anche in questo caso sono possibili vantaggi fiscali come previsto da TUIR (art. 51 comma 2 F).

Anche se la materia è relativamente giovane, nelle aziende italiane sta crescendo la conoscenza e la consapevolezza che dare servizi in luogo di retribuzione può portare interessanti economie per le aziende e maggiore potere d’acquisto per il personale. Un rapporto win-win già noto e consolidato nella formula Ticket Restaurant, ma riproducibile anche nel territorio più vasto del welfare aziendale.

Che riscontro hanno sulla produttività gli interventi di welfare aziendale?

Oggi la logica prevalente dei progetti di welfare aziendale non è quella del paternalismo illuminato, ma sempre più le aziende italiane sono consapevoli delle ricadute positive in termini di produttività. In alcuni casi, i programmi di welfare sono strettamente collegati alla misurazione della produttività come nel noto caso Luxottica.

Sempre più si parla di ROI dei progetti di welfare. Se ne discute molto e ci sono diversi tavoli di lavoro a livello associativo. Le ricerche internazionali sui costi-benefici del welfare hanno evidenziato – per esempio – impatti positivi in termine di riduzione del turnover, con conseguenti minori costi per la selezione e formazione di nuove persone da inserire in azienda. Altro impatto positivo è la riduzione del tempo di assenza per maternità e un incremento nella percentuale di ritorno al lavoro delle mamme dopo la maternità.

Ma si puo fare di più: i servizi/benefit aggiuntivi offerti al lavoratore sono la moneta di scambio di un incremento di produttività, o, detto in altri termini, il budget per finanziare operazioni di welfare si va a ricercare, non tanto e non solo nel risparmio fiscale, quanto in un miglioramento di KPI ben identificati prima di partire con il progetto.

Quale riscontro hanno, sul fronte del miglioramento del rapporto con i propri dipendenti, le aziende che fanno welfare aziendale?

Dimostrarsi attenti ai bisogni dei propri dipendenti in termini di welfare significa saperli considerare come delle “persone” bisognose di attenzioni e di cura al di là della sfera puramente professionale. Gli effetti in termini di engagement e impegno possono essere enormi e tutti noi sappiamo quanto un collaboratore impegnato e appassionato possa fare la differenza, soprattutto in periodi di crisi come l’attuale. Quanto più il programma di welfare sarà concreto e tangibile tanto più gli effetti saranno positivi. Altro aspetto interessante è che un buon programma di welfare mette d’accordo fasce di popolazione molto diverse tra loro: i più giovani perché sono sempre più attenti alla tematica del bilanciamento work-life e sono sempre meno disposti a sacrificare la propria vita privata sull’altare della carriera; i meno giovani perché con il passare degli anni devono affrontare problematiche complesse come la gestione di genitori anziani e non più auto-sufficienti e, indubbiamente, la fascia intermedia, che gestisce problematiche legate ai figli e, sempre piu spesso, contemporaneamente, ai genitori.

Quante risorse economiche dovrebbero essere destinate al welfare aziendale?

Non esiste la formula ideale per calcolare le risorse da destinare al welfare.  Il legislatore italiano consente agevolazioni fiscali fino al “5 per mille” del monte totale retribuzioni, così come previsto dall’articolo 100 del TUIR. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per una riflessione aziendale per stabilire quale importo dedicare al welfare.

Il passo successivo è quello di identificare il target dei lavoratori che si vuole sostenere e aiutare (giovani famiglie, dipendenti con persone non autosufficienti a cari, ecc.) per passare infine al tipo di soluzione e supporto che si vuole offrire.A seconda del budget stanziato è possibile strutturare un programma di welfare modulare e ampliabile nel tempo, senza dimenticare l’accesso a bandi pubblici di finanziamento, che possono supportare l’avvio di un progetto, che deve poi autosostenersi nel tempo.

In quali settori esiste la figura del Welfare Manager?

Il Welfare Manager è una figura professionale che si inizia a incontrare anche in Italia soprattutto nelle grandi aziende, di norma in staff alla direzione risorse umane.

Si tratta di uno nuovo tipo di professionalità collegata alla gestione della “total reward”, cioè quell’insieme di benefits e servizi che integrano e completano il pacchetto retributivo del personale. I responsabili Comp&Ben sono molto diffusi nelle multinazionali, soprattutto di matrice anglosassone, nelle farmaceutiche, nel mondo ICT, nelle banche e nelle assicurazioni. In particolare, il Welfare Manager si occupa di coordinare gli interventi realizzati dall’azienda per migliorare la qualità di vita del personale sia dal punto di vista organizzativo, sia da quello dei servizi messi a disposizione.

 

Nel prossimo post di Lavoro in Corso parleremo nello specifico della figura emergente del Welfare Manger, a presto…

 

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Luca Orioli

Mi chiamo Luca, classe '83, esperto di comunicazione, giornalista free lance e 'startupper' da una vita con una decina di progetti chiusi nel cassetto che stanno lentamente prendendo forma. Appassionato di fotografia e serie tv, ho una formazione umanistica e l’estremo bisogno di vedere cose nuove.
Qualche anno fa, terminata l’Università [degli Studi di Milano, laurea in Scienze dei Beni Culturali], mi sono ritrovato un po’ spaesato nell’affacciarmi sul mondo del lavoro. Leggevo annunci dove ricercavano account, responsabili risorse umane, project manager o community manager, etichette che sembravano nascondere un mondo, ma per me completamente prive di significato. Dopo diverse esperienze ho intrapreso la strada che sto percorrendo oggi, ma da quel momento è rimasta l'esigenza di tradurre in parole comprensibili il mondo delle professioni. Così nasce il mio blog, Lavoro in Corso.

Vuole essere un Virgilio nella giungla dell'impiego, una traccia per esplorare il panorama del lavoro tra professioni emergenti, opportunità sommerse, esperienze vissute e capire in cosa consiste un determinato profilo, come intraprenderlo, quale percorso fare e le competenze necessarie per arrivarci.

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