Lavoro: il nuovo nemico di Mario Monti si chiama Clup
Economia

Lavoro: il nuovo nemico di Mario Monti si chiama Clup

E' la sigla che indica il costo del lavoro per unità di prodotto: un indicatore che il governo vorrebbe abbattere

Un secondo round di trattative senza un risultato concreto. Si è concluso così il vertice di ieri  tra il governo e i sindacati, convocato a oltre una settimana di distanza da un primo summit a Palazzo Chigi, in cui il premier  Mario Monti si è invece confrontato con i rappresentanti delle aziende.

Per entrambe i summit, l'argomento di discussione è stato lo stesso: la produttività del lavoro e i provvedimenti che l'esecutivo dovrebbe mettere in cantiere per farla crescere. Per adesso, è difficile capire il possibile esito delle trattative ma è già chiaro quali saranno le poste in gioco sul tavolo dei negoziati.

ECCO PERCHE' GLI ITALIANI SONO POCO PRODUTTIVI.

IL NODO DEL CLUP.

Parlando ieri alla Fiera del tessile, il presidente del consiglio ha infatti illustrato chiaramente il suo obiettivo. Vuole raggiungere un accordo con le parti sociali per far crescere la competitività dell'Azienda-Italia abbassando il Clup: il costo del lavoro per unità di prodotto. E' proprio da questo indicatore, troppo elevato nel nostro paese, che dipende in gran parte la debolezza del sistema produttivo italiano.

Ogni volta che realizzano un bene o un servizio, infatti, le imprese del made in Italy devono ovviamente sostenere dei costi. Tra questi, ci sono anche i costi del fattore-lavoro , che vengono appunto misurati dal Clup, rapportando il valore totale delle retribuzioni lorde di un azienda alla quantità di beni e servizi che produce. Se il Clup si abbassa, la produttività del lavoro aumenta. Se invece il Clup cresce, la produttività diminuisce.

ULTIMI IN EUROPA.

Purtroppo, nel nostro paese, questo indicatore è ben più alto rispetto alla media europea: supera di almeno il 20% quello tedesco e di circa il 10% quello che si registra  nei già poco competitivi paesi mediterranei come la Spagna, il Portogallo e persino la Grecia (dati Eurostat). Inoltre,  va pure ricordato che il Clup italiano,  negli ultimi 10 anni,  è cresciuto in maniera esagerata (+35% circa) contro il 10% della Germania.

LA POSTA IN GIOCO.

Proprio per questa ragione, quasi tutti sono concordi sulla necessità di far scendere il costo del lavoro per unità di prodotto. Le soluzioni per riuscirci, però, sono sostanzialmente due. La prima consiste nell'abbassare le tasse e i contributi sui salari (come vorrebbero i sindacati e anche le imprese), distribuendo i benefici in due direzioni: in parte sui bilanci delle aziende, che spenderebbero di meno per pagare i propri dipendenti, e in parte sulle tasche dei lavoratori, che riceverebbero così uno stipendio netto più alto.

Tuttavia, poiché le risorse a disposizione del governo per ridurre le tasse sono poche, il premier Monti preferisce battere una strada alternativa. Vorrebbe  ridurre il Clup riformando il sistema della contrattazione collettiva tra imprese e i sindacati e legando a doppio filo l'andamento dei salari a quello della produttività. Come ha già ricordato un recente documento della Commissione Europea,  infatti, le retribuzioni degli italiani e gli aumenti salariali sono troppo spesso slegati dalla produttività del lavoro e dipendono da ben altri fattori, come gli scatti di anzianità, gli automatismi di carriera e, in parte, anche l'inflazione.

RIFORMA DEI CONTRATTI.

Dunque,  la ricetta del governo consiste nell'introdurre una nuova forma di contrattazione tra le parti sociali che, nei singoli settori produttivi e nelle singole imprese, leghi maggiormente l'andamento dei salari a quello della produttività (derogando anche alle disposizioni degli accordi collettivi nazionali siglati dalle imprese e dai sindacati). Su questo punto, il premier Mario Monti ha intenzione di raggiungere un accordo  prima del prossimo vertice europeo dell'8 ottobre.

Lo scopo del presidente del consiglio è  ovviamente quello di poter  presentare un risultato positivo a Bruxelles. Peccato, però, che i sindacati (o almeno la Cgil) non sembrino per adesso intenzionati a fare troppe aperture, se non in cambio di una sostanziosa contropartita: un abbassamento delle tasse sulle retribuzioni. Ora, la speranza è che il confronto non vada troppo per le lunghe e che non abbia lo stesso risultato dell'ultima riforma del lavoro, che ha finito per scontentare un po' tutti: le imprese, i sindacati e molte forze politiche.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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