Fiat, Marchionne e i dubbi dell'America
Economia

Fiat, Marchionne e i dubbi dell'America

Sul New York Times gli analisti esprimono più di un dubbio sulla strategia del numero uno del gruppo per affrontare la crisi in Europa. E dicono: Alfa Romeo e Maserati non possono competere con Bmw e Mercedes.

Il suo nome è entrato persino nella campagna elettorale americana, citato sia dal repubblicano Mitt Romney, che lo ha accusato di essere artefice "della vendita di Chrysler agli italiani",sia dal Presidente, Barack Obama, che lo ha fatto comparire (testimonial inconsapevole) in uno spot elettorale a suo stesso sostegno. Eppure Sergio Marchionne non è riuscito ad evitare le critiche e i dubbi da parte del mondo economico-finanziario a stelle e strisce. Nel mirino è finita la strategia Fiat e soprattutto il fatto che i profitti dell'azienda automobilistica italiana si basino soprattutto sulle vendite all'estero, mentre in Europa si registrano continue perdite. A sollevare più di un dubbio in merito è stato il New York Times, che ha analizzato le politiche del Lingotto e del suo amministratore delegato.

Secondo il quotidiano americano, infatti, il manager italo-canadese potrebbe non riuscire nell'intento di fronteggiare la crisi economica in atto, anche nel settore automobilistico, in Europa. "In molti - scrive il giornale - credono sia difficile, nonostante Marchionne sia stato capace di resuscitare il gruppo di Detroit". Il riferimento è alla Chrysler, la controllata americana della Fiat. "È vero che le vendite - continua il NY Times - nel Vecchio Continente non hanno ancora registrato i cali visti negli Stati Uniti nel 2009, all'apice della crisi, ma la flessione (del 20% nel 2007) è in corso da un periodo maggiore e la rispresa resta lontana".

A "lasciare scettici gli analisti", in particolare è il piano di investimenti di Marchionne, definito "ambizioso". L'obiettivo dell'amministratore delegato Fiat, criticato dal NY Times, sarebbe quello di "chiudere gli impianti che stanno operando a meno della metà della loro capacità e di lasciare migliaia di persone senza lavoro". Fiat, prosegue il New York Times, "proverà a fare quanto Bmw e Mercedes hanno fatto in Germania. L'Italia diventerà il centro della produzione del gruppo con i marchi di alta gamma come Alfa Romeo e Maserati, che poi l'azienda cercherà di esportare negli Stati Uniti e nei mercati asiatici, che sono in forte crescita".

Ma questo progetto, per gli esperti americani, è altamente rischioso perchè la stessa Alfa Romeo non sarebbe in grado di concorrere come le auto di lusso e sportive tedesche. Auto e marchi che già oggi hanno volumi di vendita di quattro volte superiori alla casa italiana e sono già leader proprio negli Usa e soprattutto in Cina. Secondo Paul Nieuwenhuis, del Center for Automotive Industry Research dell'Università di Cardiff, in Galles, citato dal Ny Times, questo tentativo sarebbe in atto da diverso tempo, ma con risultato molto sottodimensionati rispetto alle aspettative. Colpa della rete dei distributori, secondo l'analista, mentre Ferdinand Dudenhoffer, professore all'Università di Duisburg-Essen (Germania), l'Alfa Romeo avrebbe volumi troppo piccoli per concorrere. Un 'opinione che suona come una doccia fredda per l'ad di Fiat, di cui Dudenhoffer è persino un sostenitore.

Il NY Times cita anche lo scetticismo del governatore del Piemonte, Roberto Cota, che pur dicendosi convinto sostenitore della politica di lavoro di buona qualità e realismo della Fiat, dice di attendere i fatti. Del resto il quotidiano newyorkese cita il caso di Pomigliano e la vertenza con i lavoratori Fiom, così come la difficoltà di mantenere il posto di lavoro a 55.000 dipendenti. Lo stesso Sergio Marchionne ha tentato di spiegare come la crisi del 2009 negli Usa e quella in atto in Europa siano differenti. Secondo Marchionne, infatti, "le case automobilistiche europee non possono contare su governi che sono già in difficoltà, per un piano di salvataggio" come quello messo in atto dal governo federale americano negli anni scorsi. A complicare le cose ci sono regole di mercato che in Europa molto differenti da quelle americane e che devono sottostare alle linee decise dall'Unione Europea. Tutti fattori che però non sono riusciti a convincere gli analisti Oltreoceano.

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Eleonora Lorusso