Fiat, addio a Fabbrica Italia. Ora negli stabilimenti cresce la paura
Economia

Fiat, addio a Fabbrica Italia. Ora negli stabilimenti cresce la paura

Dopo l’annuncio ufficiale di Marchionne sul ritiro degli investimenti il rischio reale è la chiusura di almeno uno dei siti produttivi

UPDATE: Il 15 settembre il ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera e il ministro del welfare Elsa Fornero si sono detti disponibili per un incontro con i vertici del gruppo Fiat per capire meglio quali siano le reali intenzioni per le attività italiane dopo la nota emessa dal gruppo relativa al passo indietro sul piano Fabbrica Italia.

“La possibilità che si chiuda un altro stabilimento Fiat in Italia ora è più che reale, non è più solo un’ipotesi, e se ciò avvenisse devo dire che purtroppo non mi stupirei”. Non usa mezzi termini il professor Aldo Enrietti, economista esperto di cose Fiat, nel delineare i foschi scenari che potrebbero materializzarsi all’indomani dell’annuncio del Lingotto di considerare archiviato il progetto di Fabbrica Italia . “Il comunicato di ieri – continua Enrietti – di fatto mette la parola fine ad una vicenda che era ormai chiara da due anni. Praticamente subito dopo il lancio stesso del progetto. Infatti la discrepanza che si è venuta a creare tra le potenzialità produttive, ipotizzate in 1,4 milioni di veicoli all’anno, e quelle che stiamo registrando in questi giorni, superiori di poco alle 400mila unità, sono tali da rendere più che reale il possibile ridimensionamento dei programmi”.

D’altro canto da qualche tempo era stato lo stesso Sergio Marchionne a far circolare l’inquietante prospettiva della chiusura di almeno uno dei siti produttivi attualmente attivi in Italia. Facile immaginare dunque il brivido freddo che stia scorrendo lungo la schiena dei 7.000 addetti di Melfi, dei 4.800 di Cassino, dei 5.400 di Mirafiori, dei 6.200 della Sevel di Atessa e dei circa duemila, ultimi arrivati, dello stabilimento di Pomigliano. Senza contare ovviamente le decine di migliaia di lavoratori impegnati complessivamente nell’indotto. Per tutti loro potrebbe essere iniziato infatti un drammatico conto alla rovescia che dovrebbe concludersi tra qualche settimana.

“In effetti – fa notare Enrietti – per fine ottobre è previsto l’incontro dei vertici del Lingotto che dovrebbe servire a mettere a punto la futura strategia del Gruppo Fiat in Italia. In quella sede probabilmente, se si opterà per la chiusura di un sito, cosa comunque ancora non certa, verrà deciso lo stabilimento da abbandonare”. Ovviamente nessuno azzarda previsioni, anche perché significherebbe giocare ai dadi con il destino di migliaia di famiglie che rischiano di rimanere senza lavoro. Di certo, unica minima consolazione, c’è da immaginare che una tale prospettiva diventerà esecutiva in tempi non proprio brevissimi. D’altronde, anche la chiusura di Termini Imerese fu annunciata circa due anni prima, anche se poi il tempo a disposizione non è stato in nessun modo utile e sufficiente per trovare una soluzione alternativa.

Ma il probabile addio ad uno dei siti produttivi, sarà solo una delle conseguenze del ridimensionamento del progetto Fabbrica Italia. Il futuro scenario del mercato automobilistico potrebbe infatti subire altri contraccolpi. “Potrebbe essere l’occasione – annuncia Enrietti – affinché nuovi competitor mettano piede nel nostro Paese. D’altronde è già successo che la Bmw sia venuta a salvare Pininfarina. Lo stesso potrebbe accadere con un’alleanza Fiat-Mazda , che preveda la costruzione in Italia di modelli giapponesi".

"Oppure ancora - conclude Enrietti -, terzo scenario possibile, sarebbe quello dell’arrivo di operatori cinesi o indiani che decidano di rilevare in toto lo stabilimento che dovesse essere chiuso”. Insomma, in un contesto in cui la Fiat tira i remi in barca e, concentrando le proprie attenzioni sul mercato americano, riduce l’attività in Italia, l’unica consolazione, o forse a questo punto converrebbe dire l’unica speranza, per migliaia di addetti, potrebbe essere il fatto che si creeranno spazi per nuova concorrenza. Crisi permettendo, ovviamente.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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