Spread Btp-Bund, perché ora può tornare a crescere
MATTEO BAZZI / ANSA
Economia

Spread Btp-Bund, perché ora può tornare a crescere

Il differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi oggi è in discesa. Ma, con i timori sulla Grecia, può impennarsi di nuovo

In calo fino al livello di 135 punti base (1,35%). E' l'andamento odierno dello spread Btp/Bund, cioè il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani con scadenza a 10 anni e quelli tedeschi, che finalmente torna a ridursi dopo una preoccupante impennata dei giorni scorsi. Le buone notizie che arrivano oggi dai mercati, con Piazza Affari che in mattinata rimbalza e registra un progresso di oltre 4 punti percentuali, non devono però farci stare tranquilli più di tanto, dopo quello che è accaduto nel primo scorcio di questa settimana. Non appena le borse hanno iniziato a precipitare, infatti, anche lo spread Btp/Bund si è portato ampiamente sopra i 150 punti, nonostante vi sia il quantitative easing, cioè il programma di acquisto dei titoli di stato dell'Eurozona da parte della Bce di Mario Draghi.


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Certo, quello che è accaduto in questi giorni non è minimamente paragonabile ai fatti del biennio 2011-2012, quando lo spread superò più volte i 500 punti base e l'area-euro rischiava di disgregarsi da un momento all'altro. Sta di fatto, però, il differenziale Btp/Bund è tornato a ballare, nonostante il cuscinetto predisposto dalla Bce che lo ha tenuto a bada per molti mesi. A preoccupare, questa volta, sono principalmente due fattori: lo stato di salute del sistema bancario e soprattutto quello che sta accadendo in Grecia.


Senza garanzie

Dall'inizio dell'anno, per chi non se ne fosse accorto, i titoli delle banche italiane sono entrati nel mirino della speculazione e hanno registrato ribassi a due cifre. Le ragioni di questa debacle sono tante, in primis la montagna di sofferenze (oltre 200 miliardi in tutto) che zavorra i bilanci di molti istituti di credito. Ad aggravare la situazione, poi, ci si sono messe pure le nuove regole sul bail-in, che vietano agli stati europei di rimediare a un eventuale crack bancario coi soldi pubblici, come è avvenuto invece in passato. Nulla di sbagliato, in linea di principio, se non fosse per il fatto che queste norme poggiano le basi su un architettura piuttosto fragile.


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Negli ultimi anni, infatti, l'Ue si è sforzata di creare al proprio interno una vera e propria Unione Bancaria, con regole comuni per tutti gli istituti di credito continentali. Peccato, però, che manchi ancora un tassello fondamentale: la creazione di un sistema unico di protezione dei correntisti, che dovrebbero avere le stesse garanzie in tutta l'Eurozona, cioè avere i soldi al sicuro (fino a 100mila euro) ovunque siano depositati, che si tratti di una banca tedesca, italiana o cipriota. Per ora, la protezione unica dei correntisti non è stata ancora creata, nonostante le sollecitazioni giunte dallo stesso Draghi. In ogni paese, ci sono sistemi diversi di tutela dei risparmiatori che hanno meccanismi di funzionamento molto simili, ma attingono comunque a fonti diverse e separate. Dunque, se nell'Unione Bancaria manca un pilastro così importante, come si fa a stare tranquilli di fronte alle difficoltà degli istituti di credito italiani? Se lo sono chiesti nei mesi scorsi molti investitori che, proprio per questa ragione,  dall'inizio del 2016 hanno voltato le spalle alla borsa di Milano e potrebbero fare altrettanto con i nostri titoli di stato, se la situazione dovesse aggravarsi ancora.


Tsipras in bilico

Come se non bastasse, a complicare il quadro sono pure le notizie che arrivano dalla Grecia. Ad Atene, il governo della sinistra di Syriza e del premier Alexis Tsipras traballa. Ha solo due voti di maggioranza e deve far digerire al parlamento un intenso piano di privatizzazioni e la riforma del sistema pensionistico, che ha già provocato affollatissime proteste di piazza. Cosa accadrebbe se l'esecutivo di Atene non dovesse riuscire nei suoi intenti e fosse costretto a dimettersi o ad accantonare qualche provvedimento già messo in cantiere? Purtroppo, gli aiuti concordati nel luglio scorso con gli altri paesi di Eurolandia, dopo una estenuante trattativa durata tutta la notte, hanno come condizione essenziale proprio l'approvazione di un lungo piano di riforme, a cominciare da quella del sistema previdenziale.


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Senza quei provvedimenti, insomma, i soldi da Bruxelles non arriverebbero più e si tornerebbe a parlare inevitabilmente di Grexit, cioè di un'uscita della Grecia dall'unione monetaria europea. E' per questo motivo che la borsa di Atene, nei giorni scorsi, è crollata con ribassi superiori al 10% in una singola seduta, mentre lo spread tra i titoli di stato ellenici e quelli tedeschi ha toccato di nuovo i mille punti base (10%), il massimo dall'agosto scorso, quando il premier Tsipras aveva da poco trovato il faticoso accordo con l'Ue per il salvataggio. Ma, se la Grecia rischia di uscire dall'euro, è difficile credere che resti a bada lo spread tra i Bund tedeschi e quelli dei paesi periferici come l'Italia, visto che tornerebbero gli spettri di una disgregazione di Eurolandia. E' vero che oggi il deciso interventismo della Bce di Mario Draghi riesce a calmare le acque. Non è un caso, però, che sia cresciuto molto nei giorni scorsi (fino a 160 punti base) anche lo spread tra i titoli di stato tedeschi e quelli della Spagna, l'altro grande paese europeo considerato più a rischio assieme all'Italia, nei sempre precari equilibri di Eurolandia.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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