Perché l'Europa condanna l'economia italiana
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Economia

Perché l'Europa condanna l'economia italiana

Bruxelles chiede più sforzi entro marzo, ma Palazzo Chigi e Tesoro minimizzano. E i partner Ue iniziano a perdere la pazienza, mentre il Paese sprofonda

Come se non fosse bastata la sforbiciata al rating sovrano da parte di Standard & Poor’s, un nuovo monito è arrivato. L’Eurogruppo ha avvisato ancora una volta l’Italia: “Bisogna usare il tempo dato a disposizione (da qui fino a marzo, ndr) per mettere a posto i conti pubblici”. E ha invitato la Commissione europea a prendere tutte le misure necessarie per far sì che questo obiettivo venga raggiunto. Eppure, nell’Italia in cui la decadenza mostra sempre di più la sua faccia maligna e corrotta, sembra che quanto messo in campo finora sia più che sufficiente. Un’illusione che può costare caro. 

Servono più sforzi

Il monito di Bruxelles
Occorre fare di più. Il messaggio di Commissione Ue ed Eurogruppo è questo. E poco importa che si tratti di una misura correttiva o un’attuazione più veloce delle riforme strutturali promesse o una vendita massiccia del patrimonio pubblico.

L’importante è fare qualcosa per evitare di violare le regole Ue nel breve periodo e il tracollo nel lungo periodo. Serve una correzione del budget 2015 pari allo 0,5% del Pil, mentre quella prevista dal Tesoro è pari allo 0,1 per cento. Ed è cruciale raggiungere questo obiettivo entro marzo 2015, rendendolo poi sostenibile nel tempo. Per farlo, ha ricordato l’Eurogruppo, ci sono tre modi: nuove misure, misure più efficaci, un accordo con la Commissione su attuazione delle misure esistenti e sui tempi di entrata a regime. Nonostante la Germania continui a ribadire che “ogni decisione non spetta a Berlino, ma alla Commissione”, è evidente che la preoccupazione sia molta. Avere un’Italia sempre più debole e fragile non fa un favore a nessuno, dati i rapporti commerciali fra i due Paesi. 

I rischi dell’Italia
Il rischio concreto è quello di arrivare nel prossimo marzo con uno scenario ben poco roseo. Quattro i motivi.

Primo, la stagnazione economica. Insieme a Cipro, l’Italia è l’unico Paese dell’area euro che ancora sta combattendo contro la recessione. E se anche ci fosse un sussulto delle attività economiche, questo sarebbe solo minimo, come ha ricordato Goldman Sachs nei giorni scorsi. Soprattutto, sarebbe un rimbalzo una tantum, frutto delle misure messe in campo dalla Banca centrale europea (Bce) per riattivare i canali del credito bancario.

Secondo, l’elevato fardello del debito pubblico. Secondo le previsioni di fine 2011 da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi) sarebbe dovuto calare a partire dall’anno in corso. Invece, continua a salire. Sia in termini assoluti sia in rapporto con il Pil. Le azioni messe in campo da Palazzo Chigi - una su tutte, le privatizzazioni - non sono state efficaci quanto sperato e serviranno ulteriori misure per convincere la Commissione Ue della bontà dell’Italia. Nello specifico, la Commissione ha stimato che il rapporto debito/Pil passerà dal 127,9% del 2013 al 133,8% nel 2015. Troppo.

Terzo, riforme strutturali ben lungi dalla piena attuazione.
È vero che è stato introdotto il Jobs Act, ma i suoi frutti saranno (se non muta la congiuntura macroeconomica) a partire dai prossimi anni.
Troppo tardi per ovviare alle lacune di produttività e competitività che affliggono il Paese. Riforma della giustizia, del mercato dei capitali e del sistema tributario, in modo da spostare il carico fiscale dalle persone alle cose. Una raccomandazione giunta a Roma fin dal 2011. Ancora una volta Bruxelles e i partner europei hanno chiesto  solo il mantenimento delle promesse fatte in precedenza dall’Italia e nulla di più. Del resto, il tempo messo a disposizione è stato molto. Nello scorso luglio, la Commissione spiegava, nelle sue Country-specific recommendation, che “resta cruciale per l'Italia l'attuazione rapida e completa delle misure adottate, sia al fine di colmare le carenze esistenti a livello di attuazione, che al fine di evitare l’accumulo di ulteriori ritardi”.

Quarto, un quadro politico instabile. L’elezione del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale è alle porte e questo potrebbe essere un ulteriore fattore di incertezza, capace di generare nuove perdite di tempo utile. 

Italia e Francia sono sulla strada giusta

I malumori dei partner europei
E poi c’è la Germania, come si scriveva prima. O meglio, il blocco del cuore dell’area euro: Germania, Austria, Finlandia e Paesi Bassi. Come spiega un funzionario della Commissione Ue, “le regole o valgono per tutti o non valgono proprio”. Vale a dire che quanto concesso all’Italia due settimane fa è l’equivalente di un esame di riparazione senza possibilità di ulteriori appelli. E così vanno interpretate anche le parole che arrivano da Berlino o Vienna. Nel caso tedesco, i malumori stanno iniziando a essere sempre di più.

Certo, il ministro delle Finanze Wolfgang Schaüble ha detto che sia Roma sia Parigi sono sulla strada giusta, ma l’establishment della CDU e buona parte del governo di Angela Merkel inizia a fidarsi di meno delle comunicazioni che arrivano da Palazzo Chigi. “È stato dato più tempo, sulla base della crisi economica e dei suoi sviluppi, ma ora servono risposte concrete”, spiega a Panorama una fonte diplomatica tedesca. 

Occorre che l’Italia riduca in modo maggiore il debito pubblico

La grande illusione
L’illusione è che vada tutto bene, quando in realtà gli sforzi del governo di Matteo Renzi per contrastare il declino di un Paese senza sogni e senza speranze sono quasi stati vanificati dalla crisi e dalla paludosa politica italiana. Eppure, come ha ricordato S&P con quel downgrade che ci divide solo di un voto dal rating spazzatura, così non è.

Le prospettive sono negative, la stagnazione potrebbe fare più danni della recessione e la rottura del meccanismo di trasmissione della politica monetaria della Bce è sempre più marcata se si guarda all’economia italiana. Il sentore è che volando sulle ali dell’entusiasmo dell’approvazione iniziale, il governo abbia dimenticato che gli annunci possono essere utili in patria, ma non in Europa. 

La lunga battaglia fra Roma e Bruxelles

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Matteo Renzi durante la recente visita in Australia

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