La lettera della Ue all'Italia: il perché e le conseguenze per il nostro Paese
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Economia

La lettera della Ue all'Italia: il perché e le conseguenze per il nostro Paese

Inviata un mese fa mette in riga il Governo Renzi sulla debolezza dei business plan per l'uso dei 41,5 miliardi di fondi strutturali europei

Nell’agosto 2011 fu una lettera della Banca centrale europea a scuotere la politica italiana. Nell’agosto del 2014, tre anni dopo la tempesta finanziaria che si abbattè sull’Italia, un’altra lettera rischia di far vacillare Palazzo Chigi. Questa volta la scrive la Commissione UE. O meglio, l’ha scritta il mese scorso, ma solo oggi ne è emerso il contenuto, grazie a La Repubblica. Nella missiva i toni sono accesi. Il tema è l’accordo di partenariato 2014-2020 . In pratica, come l’Italia spende i fondi strutturali e d’investimento UE.

IL TEMA
Dopo una estenuante discussione sul budget UE per il settennato che va dal 2014 al 2020, Bruxelles pensava di aver trovato una soluzione di compromesso capace di essere utilizzabile per tutti gli Stati membri. Un errore non da poco. L’Italia ha inviato a Bruxelles il proprio accordo di partenariato lo scorso 22 aprile. Come spiega il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, si tratta dello "strumento di programmazione nazionale dei fondi strutturali e di investimento europei assegnati all’Italia per la programmazione 2014-2020". Un documento fondamentale per capire come saranno erogati, e in quali aree produttive, i fondi del budget UE per i prossimi sette anni. Ogni singolo Paese deve inviare alla Commissione il proprio business plan, anche in base agli impegni assunti con Bruxelles e alle raccomandazioni che la DG ECFIN pubblica periodicamente.

Dopo aver esaminato le carte inviate da Roma, la Commissione UE ha ritenuto doveroso chiedere ragguagli a Renzi. Le aree in cui manca una visione strategica della spesa sono tante, forse troppe: agenda digitale, cultura, competitività, innovazione, ricerca, sviluppo tecnologico. Tutte voci cruciali per far uscire il Paese dallo stato comatoso in cui versa da decenni. Come fa notare un alto funzionario UE, dietro anonimato, "non è la prima volta che all’Italia vengono chieste delucidazioni su questi campi, dato che in certi segmenti i gap con il resto dell’area euro sono ormai strutturali". Più o meno, le stesse obiezioni mosse da due mesi dagli economisti di banche come Credit Suisse, Natixis e HSBC. "Senza riforme capaci di innovare il Paese, della portata della Rivoluzione industriale, l’Italia non uscirà mai dalle sabbie mobili", ha scritto Natixis a fine luglio.

LE CONSEGUENZE
Le conseguenze per il governo guidato da Matteo Renzi possono essere plurime. C’è prima di tutto il piano economico. Senza l’approvazione della Commissione sono a rischio circa 41,5 miliardi di euro di spesa. Tradotto annualmente, circa 5,9 miliardi di euro non potranno essere spesi. E considerato che in virtù del cofinanziamento nazionale, si possono raddoppiare i fondi messi a disposizione, la partita vale ancora di più. Il timore di Bruxelles è che dietro alle slides si nasconda il nulla. "Manca una strategia chiara sull’uso dei fondi e stiamo ancora attendendo risposte", fa notare il funzionario di Palazzo Berlaymont. Senza i fondi, cercare di far uscire il Paese dalla recessione sarà ancora più complicato. E per aver i fondi bisogna portare come contraltare due cose: riforme strutturali e programmazione economica lungimirante. Per ora, secondo Bruxelles, mancano entrambe.

Poi, c’è il versante politico. La lettera è arrivata all’apertura del semestre italiano di presidenza UE e rischia di minare alla base la credibilità di Renzi. Specie dopo l’apertura di una procedura d’infrazione per il mancato pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, anch’essa arrivata alla vigilia del semestre italiano. Considerato che in Europa il governo Renzi voleva porre l’attenzione dei policymaker su una maggiore flessibilità di bilancio, alla luce delle comunicazioni della Commissione si riducono i margini negoziali per Roma. L’appuntamento di novembre, quando cioè si apre la finestra di revisione del Six Pack (uno dei pilastri dell’architettura fiscale della zona euro), rischia di non produrre gli effetti sperati da Renzi, cioè maggiori concessioni su deficit e debito pubblico. Già era improbabile superare la cortina di ferro dei Paesi del cuore dell’eurozona innalzata in difesa del rigore di bilancio in tempi normali, figuriamoci dopo la terza bacchettata della Commissione UE in tre mesi.

Infine, c’è il versante psicologico. La lettera della Commissione segnala la mancanza di strategia di un esecutivo che è balzato agli onori della cronaca come uno dei più riformisti dell’area euro. Ora, se l’Italia non dovesse riuscire a fornire risposte adeguate alla missiva di Bruxelles, i partner europei potrebbero voltare le spalle all’Italia. Del resto, le critiche dell’opinione pubblica in Germania sono aspre da settimane. L’Italia continua a essere vista come “spendacciona, bloccata e incapace di fare progetti a lungo termine”, come ha scritto la Frankfurter Allgemeine Zeitung nelle ultime due settimane. Il punto è che, analizzando a fondo i documenti dell’accordo di partenariato, è difficile non dare ragione ai tedeschi e alla Commissione. Il 5 agosto 2011 fu la lettera della Bce a dare l’accelerazione più vigorosa al declino del governo di Silvio Berlusconi. Il 13 agosto 2014 sarà ricordato come l’inizio della fine del governo di Matteo Renzi?

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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