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AFP PHOTO/Emmanuel Dunand
Economia

Le sette ragioni economiche dello scontro tra Tsipras e i creditori

Dall'Iva nelle isole ai tagli alla Difesa. Dalle privatizzazioni all'aumento delle minime: ecco punto per punto gli scogli sulla strada dell'accordo

Alzi la mano chi ha compreso  su quali punti verte tecnicamente il braccio di ferro in corso a Bruxelles tra i negoziatori europei e il governo greco. Perché la questione, in fondo, non è una semplice faccenda politica tra le due opposte tifoserie, quella che considera  Tsipras come la testa di ponte di un progetto che mira a costruire (finalmente) gli «Stati uniti d'Europa» e quella che parteggia per la Troika sulla base del principio che «chi sbaglia paga» senza scaricare sugli altri Paesi il peso finanziario della proprie inefficienza. Premessa: l'ultima proposta delle istituzioni (Commissione, Bce e Fmi) alla Grecia risale al 26 giugno (scaricala qui ) ed era stata preparata per l’Eurogruppo di sabato 27. Resa pubblica dopo lo strappo referendario di Tsipras, essa recepiva alcune modifiche proposte da Tsipras ma ne rigettava altre come emerge dal documento inviato il 22 giugno  ad Atene.


Grecia, l'Ue: disponibili a discutere la ristrutturazione del debito

Il nodo inestricabile dello scontro riguarda un tema mai entrato ufficialmente nei documenti della Commissione e del governo greco ma che è presente come convitato di pietra in qualsiasi discussione: la ristrutturazione del debito, la sua sostenibilità, in un Paese allo stremo dove ulteriori tagli, anziché favorire la ripresa, rischiano secondo gli economisti keynesiani tra cui Stiglitz e Krugman, di avvitare il Paese ellenico in una ulteriore spirale recessiva

RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO
La questione vera, politica, il nodo inestricabile dello scontro riguarda in realtà un tema - per altro presente nella lettera inviata stamane da Tsipras - che non è mai entrato ufficialmente nei documenti della Commissione e del governo greco. Ma che è presente come convitato di pietra in qualsiasi discussione: la ristrutturazione del debito, la sua sostenibilità, in un Paese allo stremo che ha già subito una cura cavallo negli anni passati e dove ulteriori tagli, anziché favorire la ripresa, rischiano secondo gli economisti keynesiani tra cui Stiglitz e Krugman, di avvitare il Paese ellenico in una ulteriore spirale recessiva. Yanis Varoufakis  ha avanzato anche, su questo piano, la proposta dello “swap” del debito senza ricevere risposte:  l’idea era di chiedere al cosiddetto Fondo salva-Stati un nuovo prestito con scadenza trentennale e condizioni più vantaggiose con il quale Atene avrebbe ripagato i 27 miliardi di euro di titoli di Stato detenuti attualmente dalla Bce, al fine di non risultare più esposta con Francoforte e poter dunque accedere al quantitative easing che al momento è precluso. Il nodo politico è tutto qui: rinegoziare le scadenze e ridurre gli oneri. Il cuore politico dello scontro.

1) IVA SULLE ISOLE E SUL CIBO
La Grecia accetta di portare entro il primo luglio l’Iva al 23% su tutti i prodotti ma insiste sulla quota 13% per alcune categorie e fattispecie merceologiche: acqua, cibo (oggi è al 23%), energia elettrica e hotel  (alal 6,5%). I creditori fino al 25 giugno volevano anche gli alberghi al 23, e al 13 erano disposti a cedere solo per i cibi di base, non ancora specificati. Nella proposta del 26 giugno i creditori hanno invece invece gli alberghi al 13% aggiungendo una clausola che parla di “possibile revisione delle quote a fine 2016“. Atene insiste inoltre anche per mantenere uno sconto del 30% per le isole (dove il trasporto delle merci ha evidenti costi che in questo modo si intendono ammortizzare), altro punto di forte scontro con Bruxelles. Lo sconto nelle isole fa sì che in Grecia esistano ben 6 quote differenti per l’Iva, ma c’è anche chi punta il dito contro possibili ‘trucchi’ come quello di far ‘transitare’ per le isole le merci solo per ottenere tariffe agevolate. C’è invece accordo tra Bruxelles e Atene sul super sconto al 6% per medicinali, libri e teatro.

2) TASSA SUI RICCHI
La Grecia insiste sulla tassa una tantum del 12% sui profitti delle imprese superiori a mezzo milione di euro nel 2014, a cui si oppone fortemente il Fondo monetario internazionale, ma anche la Commissione che ne critica la retroattività e il fatto che non possa essere conteggiata nelle riforme strutturali, e quindi ‘permanenti’, richieste. Vuole eliminare dalla richiesta delle istituzioni l’anticipo del 100% dei pagamenti delle imposte sui profitti dichiarati di aziende e imprese individuali (al momento nel Paese l’anticipo è dell’80%). La Grecia accetta di aumentare la tassazione sulle imprese solo dal 26 al 28% invece che al 29% come chiesto dalle istituzioni fino a lunedì. Tsipras insite anche nel mantenere i sussidi sulla benzina per gli agricoltori. Accordo sulla tassa al 30% sul gioco online.

3) ETA' PENSIONABILE E MINIMA
La Grecia accetta di portare gradualmente entro il 2022 l’età pensionabile a 67 anni e a 62 per chi ha 40 anni di contributi in un Paese dove - va detto - l'età pensionabile di 60 anni per le donne e 65 per gli uomini, con 35 anni di contribuiti, è di fatto mitigata dalla presenza di ben 580 «professioni usuranti» (tra cui minatori e scaricatori, ma anche parrucchieri, anchormen, dipendenti della Banca nazionale e aereoportuali, contadini) in cui l’età si abbassa a 50 anni per le donne e a 55 per gli uomini. Il motivo di queste spaventose inefficienze del sistema pensionistico greco attengono al modello di sviluppo in voga sin dal dopo guerra dove le assunzioni nello Stato, e i vari privilegi distribuiti a pioggia a numerose categorie, sono state - complice il fiume di dollari che gli americani  hanno riversato sulla Grecia durante la Guerra fredda per evitare che cadesse sotto l'orbita moscovita - un modo per estendere e rafforzare il consenso.  Tsipras vuole che la riforma pensionistica valga per chi va in pensione dopo il 31 ottobre 2015, e non dopo il 30 giugno come vuola la Commissione, ma in realtà sarebbe anche uno scoglio suoerabile. Per quanto riguarda il fondo per l’aumento delle pensioni minime, il cosiddetto Ekas che riguarda 200 mila pensionati greci che porterebbe la minima a 700 euro mensili, la Grecia promette di rimpiazzarlo entro la fine del 2018 senza però chiarirne con quali strumenti alternativi. La Commissione insiste per una sua eliminazione. Gli aumenti dei contributi alla salute per i pensionati, per Atene, verrebbero portati dal 4 al 5% (le istituzioni vogliono il 6%).

4) CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE
Atene non accetta la clausola che chiede di non ripristinare il sistema di contrattazione collettiva, uno dei punti centrali del programma di Syriza.

5) PRIVATIZZAZIONI
La Grecia conferma di lvoler portare a termine i bandi per la privatizzazione dei porti di Salonicco e del Pireo e dell’aeroporto di Atene (bandi lanciati dal governo Samaras e che Tsipras si è impegnato a non ritirare), ma non accetta la frase nel testo dei creditori che chiede di “non modificare i termini del bando” per Salonicco, Pireo e delle compagnie ferroviarie Trainose e Rosco. Atene non accetta neanche il punto che chiede di “adottare misure irreversibili per la vendita degli aeroporti regionali”. Tsipras ha sempre affermato che le privatizzazioni già lanciate verranno sì portate a termine, ma solo a cifre ragionevoli visto che non è intenzionato a svendere i gioielli nazionali. I creditori chiedono anche di prendere “decisioni irreversibili” per assicurare la privatizzazione dell’Admie, la compagnia che gestisce le infrastrutture dell’elettricità.

6) DIFESA
 Resta il muro contro muro sui tagli alla Difesa, Atene li vuole di 200 milioni, le istituzioni di 400. La Difesa è un settore delicato per la tenuta del governo di Tsipras in quanto è stata affidata all’alleato Panos Kammenos, dei Greci indipendenti (destra nazionalista e antieuro).

7) INVESTITORI ESTERI
La Grecia accetta di di riformare le regole per le licenze per gli investitori, ma non di farlo sotto la supervisione della Banca Mondiale. I creditori insistono nella rimozione di tutte le non-reciprocal nuisance charges,  tariffe su su alcuni prodotti esteri che li rendono così meno competitivi sul mercato interno. La Grecia accetterebbe solo una “drastica riduzione”.




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