dimostrazioni pro Unione Europea a Londra
EPA/ANDY RAIN
Economia

Brexit, un anno dopo: chi ci guadagna e chi no

Grandi vantaggi per gli speculatori, mentre i cittadini normali soffrono per una contrazione dei salari che si accompagna a un'impennata dell'inflazione

Il referendum per far uscire la Gran Bretagna dall'Unione Europea: in molti lo hanno interpretato come un moto di protesta popolare contro le élites, identificate nella classe politica e, forse anche in misura maggiore, nel mondo dell'alta finanza. Se questa era l'intenzione degli elettori, lo schiaffo all'establishment sembrerebbe proprio aver mancato il bersaglio piuttosto, è proprio la gente comune a subire gli effetti più negativi della Brexit. Lo dimostra una serie di statistiche appena pubblicate dall'The Economist, che dipingono in maniera piuttosto accurata cosa è accaduto dal fatidico giorno in cui gli inglesi hanno detto "no" ad oggi.

L'andamento di indici azionari e obbligazioni

Partiamo con i dati che, almeno a una prima lettura, interessano di più gli investitori. Innanzitutto l'indice di borsa. L'FTSE-250, ovvero l'indice che misura le quotazioni delle principali società azionarie scambiate a Londra (che, lo ricordiamo, non sono tutte britanniche), sembra non aver subito contraccolpi dopo la Brexit. Anzi: se è vero che nelle settimane immediatamente successive al voto gli indici azionari erano scesi rapidamente, nel medio periodo non si può dire altrettanto.

Oggi l'FTSE-250 viaggia attorno a quota ventimila punti, mentre a giugno dell'anno scorso era sceso sotto i sedicimila. E la crescita sembra essere stabile e costante. Quanto, invece, al valore delle obbligazioni statali denominate in sterline e di durata decennale, il dato si presta a una duplice lettura: il rendimento, infatti, si aggira da alcuni mesi attorno all'1%, meno del valore di 1,5% registrato poco meno di un anno fa. Buone notizie per le casse pubbliche, visto che interessi bassi sono musica per chi gestisce le casse dello stato, ma un po' di meno per i titolari delle obbligazioni.

Calano i salari e aumenta l'inflazione

Ma veniamo ai numeri che toccano direttamente le tasche del cittadino britannico medio. Innanzitutto l'inflazione. I prezzi hanno continuato a crescere, raggiungendo un tasso del 3% (era prossimo allo zero dodici mesi fa). Si tratta di un livello preoccupante, soprattutto se si considera che è il più alto fra i Paesi del G7 (Italia compresa) e che il governo del Regno Unito si era dato come obiettivo un tasso del 2%. In secondo luogo, il livello dei salari. Questi ultimi sono scesi, nonostante un calo dei livelli di disoccupazione.

In altre parole, i sudditi di Sua Maestà guadagnano di meno e devono pagare di più i beni che comprano tutti i giorni, mentre chi specula in borsa dorme sonni tranquilli. Forse non era quello che avevano in mente di ottenere quando hanno votato per la Brexit l'anno scorso e The Economist non può che rilevare come l'economia britannica stia fornendo preoccupanti segnali di rallentamento.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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