Brexit
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Economia

Brexit: chi la vuole e chi no

Multinazionali e grandi banche sono per il no, ma molti piccoli imprenditori vogliono liberarsi da Bruxelles

Se il Regno Unito, che ha la sterlina, decidesse di uscire dalla Ue, altri paesi dell'area Euro sarebbero tentati dalla fuga. Soprattutto per motivi economici: tornare alla sovranità monetaria e ciò a stampare moneta e a manovrare con libertà i tassi. Tra coloro che sperano nella vittoria dei NO a Brexit al referendum che si terrà fra meno di venti giorni in Gran Bretagna (il 23 giugno), c'è anche il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: "Le conseguenze sui mercati potrebbero essere molto serie" ha detto di recente partecipando al Festival dell'Economia di Trento. Visco non è il solo a parlare di "tumulti" su Borse, tassi di interesse e tassi di cambio.

Cosa pensano le grandi banche

Sono preoccupati anche gli altri banchieri centrali europei e, soprattutto, la Bank of England che ha messo a punto un fondo di emergenza per mettere a disposizione delle banche britanniche miliardi di sterline in liquidità e tutelarsi da un eventuale caos finanziario in caso di Brexit.

I grandi investitori temono che Londra perda il suo status di capitale della finanza europea. Favorevoli alla permanenza del Regno Unito in Europa sono le più grandi banche americane, tra cui Jp Morgan, Morgan Stanley, Bank of America e Goldman Sachs.

Per il no a Brexit è anche BlackRock, il più grande gestore di patrimoni al mondo (quasi 5.000 miliardi di euro di masse in gestione) che vanta tra i suoi collaboratori un uomo di Cameron, Rupert Harrison, l'ex capo dello staff del cancelliere (ministro delle Finanze) e il conservatore George Osborne.

Solo i gestori di fondi hedge britannici, i fondi più speculativi, spingono per l'uscita di Londra dall'Europa: in questo modo eviterebbero di sottostare alla rigida normativa di settore imposta dalla Ue, trasformando la City in un grande paradiso fiscale.

Le multinazionali per il no, Pmi spaccate

Spaccato in due, come l'elettorato inglese, è anche il mondo dell'industria. Le 190 mila grandi imprese, rappresentate dalla Cbi, la Confindustria britannica, vogliono restare in Europa e si sono schierate accanto a Cameron. Dichiarazioni pro-Europa sono state fatte pubblicamente negli scorsi mesi dal patron della Virgin, Richard Branson, dal numero uno di GlaxoSmithKline, Andrew Witty, e da Vittorio Colao di Vodafone.

Le grandi catene della gdo, come Tesco, non si sono espresse, per non inimicarsi i clienti. Divisa la galassia delle 5,4 milioni piccole e medie imprese britanniche: stando un recente sondaggio del The Guardian, oltre un terzo (37%) vuole restare nell'Unione, per continuare a beneficiare della semplicità nei commerci fra gli Stati membri e per comprare beni a costi più contenuti (il calo della sterlina, in caso di uscita, farebbe schizzare in alto i prezzi delle importazioni), anche se non mancano piccoli imprenditori (38%) che vorrebbero liberarsi dalle troppe regole di Bruxelles che frenano gli affari.

Tifano per il SÌ, infine, anche tutti i movimenti politici anti-euro che sognano il ritorno delle divise nazionali: i grillini e la Lega in Italia, Le Pen in Francia, Alternative Fur Deutschland in Germania e i partiti populisti di destra del Nord Europa.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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