Cosa dicono Keynes e Hayek degli 80 giorni di Renzi
Economia

Cosa dicono Keynes e Hayek degli 80 giorni di Renzi

Il Def, gli 80 euro, la riforma del lavoro, i debiti della pubblica amministrazione: la politica del governo vista dai due giganti dell'economia

Lo ha detto un paio di volte, poi si è stancato. “Questa è una manovra di sinistra”. In realtà il complesso delle promesse e delle norme prodotte dal governo Renzi è difficilmente qualificabile con i vecchi canoni di destra/sinistra. Tutto diventa assai più semplice se si usano parametri più moderni. Per entrare nei meandri della psicologia economica del governo può aiutare, ad esempio, un bel libro di Nicholas Wapshott uscito qualche tempo fa: “Keynes o Hayek - Lo scontro che ha definito l'economia moderna” (Feltrinelli 332 pagine 23 euro) che, a parte uno strafalcione editoriale (il capitolo 13 è ripetuto due volte, una vera rarità) definisce bene le differenze tra i due giganti del pensiero economico moderno.

Per giudicare la politica economica del governo, proviamo a fare un’operazione inedita: facciamo finta che l’inglese John Maynard Keynes, campione dell’intervento pubblico in economia, e l’austriaco Friedrich von Hayek, teorico del liberalismo senza compromessi, abbiano vissuto in diretta ai primi mesi di governo Renzi, abbiano ascoltato tutte le dichiarazioni sue e dei suoi ministri, abbiano letto il Def e assistito alla travagliata vita del decreto Poletti sul lavoro. Cosa direbbero, insomma, di questi 80 giorni deò governo di Renzi?

Il primo a prendere la parola sarebbe Keynes che si intesterebbe l’assunto teorico dal quale tutto il Def renziano discende e cioè che quando c’è una crisi lo Stato deve farsene carico per superarla. Non ha soldi (come nel caso italiano)? Questo a Renzi sembra non importare molto e Keynes sarebbe fiero di lui visto che fu proprio l’economista inglese a dire, a proposito della crisi economica britannica degli Anni 20, che “stiamo entrando in un circolo vizioso: non facciamo niente perché non abbiamo i soldi. Ma è esattamente perché non facciamo niente che non abbiamo i soldi”. Quindi: chissenefrega delle coperture.

Anche gli 80 euro in più in busta paga sembrerebbe a prima vista una manovra di stampo keynesiano. E invece non lo è perché contestualmente al versamento di 80 euro nelle tasche degli italiani Renzi taglia (meglio: intende tagliare) la spesa pubblica e gli stipendi più alti dei dipendenti pubblici. Per Keynes è un errore da matita blu: se si vuole che il taglio delle tasse (come di fatto sono gli 80 euro) faccia aumentare la domanda complessiva, la spesa pubblica non va ridotta. Il taglio, dice Keynes, non va applicato “agli sgravi fiscali controbilanciati da un’eguale riduzione della spesa del governo perché si tratterebbe di una redistribuzione, non di un aumento netto del potere di spesa nazionale”. Certo, aumenterebbe il debito pubblico, ma Keynes sarebbe pronto a dire che se gli 80 euro non sono finanziati in deficit, non servono a nulla. Hayek di fronte a un tale livello di interventismo, inorridirebbe perchè vedeva nella redistribuzione dei redditi, per opera dello Stato un disegno quasi diabolico visto che per lui la crescita economica è data dal fatto che esistono i ricchi e i poveri: “Il rapido progresso economico che ci aspettiamo sembra in ampia misura frutto della disuguaglianza e impossibile in sua assenza”.

Ma al di là di come sono finanziati gli 80 euro, siamo proprio sicuri che i beneficiari spenderanno i soldi in più che si troveranno in tasca? In realtà non si sa: è impossibile prevederle, indirizzarle, stimolarle in base ai desideri di un “pianificatore centrale”, direbbe Hayek. Se si vuole che, appena entrati in portafoglio, quei soldi vengano spesi, potrebbe essere utile un appello di Renzi simile a quello che fece Keynes nel 1931 quando, alla radio, urlò: “Oh massaie che avete amor di patria, uscite domani di buon’ora per strada e andate alle magnifiche svendite e abbiate il piacere aggiunto di sapere che state aumentando l’occupazione e contribuendo alla ricchezza del Paese”.

Insomma: gli 80 euro vorrebbero essere keynesiani, ma non lo sono. E non lo sono soprattutto perché secondo l’economista inglese l’aumento dei soldi in busta paga dovrebbe essere accompagnato (come Renzi ha finora solo promesso) da una massiccia iniezione di investimenti pubblici anche fatti a casaccio, perché “il progetto di edilizia pubblica peggio pensato e più balordo immaginabile, ci lascia comunque qualche cosa”, sostiene Keynes. Per questo il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, invece di limitarsi a concedere sconti sulle ristrutturazioni edilizie, acquisto di mobili e auto, dovrebbe accelerare gli investimenti pubblici fidandosi della teoria keynesiana in base alla quale “per ogni sterlina spesa dal governo corrisponde una sterlina e mezza investita dal settore privato”.

Hayek, a sentire queste parole, avrebbe un infarto. Secondo lui, infatti, “l’unica maniera per mobilitare in permanenza tutte le risorse disponibili è non usare stimoli artificiali, sia durante la crisi che dopo, ma lasciare che sia il tempo a impartire una cura permanente”. Come? Astenendosi, ad esempio, dalla pretesa di regolare i contratti di lavoro. Al posto della legge, nata da un decreto del ministro Giuliano Poletti, che riduce i vincoli per le imprese riguardo ai contratti a tempo determinato, Hayek avrebbe preferito l’abolizione totale della regolazione pubblica dei rapporti tra dipendente e datore di lavoro, ma apprezzerebbe comunque lo sforzo di semplificazione.

Però qualcosa in deficit Renzi lo fa: paga (prima o poi, visto che i termini sono stati spostati un paio di volte almeno) i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese private chiedendo alla Ue di rinviare di un anno il pareggio di bilancio previsto per la fine del 2014.

E’, invece, hayekiana Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione ma solo per “prova inversa”, nel senso che la sua idea (subito ritirata) di prepensionare 85mila dipendenti pubblici è il contrario di quello che farebbe Keynes, il quale, piuttosto, ne assumerebbe altri 85mila e a tutti darebbe uno stipendio il più alto possibile. Per l’economista inglese, infatti, esiste un rapporto diretto tra assunzione di persone da parte dello Stato e assunzione di persone da parte delle imprese private. Non riuscì mai a quantificare questo effetto benefico, ma questo è un dettaglio. Però, attenzione: sarebbe un errore pensare che Keynes sia un seguace dello statalismo marxista: non poteva infatti capire “some una dottrina così illogica e idiota può aver esercitato un’influenza tanto potente e duratura sulle menti degli uomini”.

Aumentare le trattenute sui risparmi da 20 al 26% è perfettamente keynesiano: il padre dell’interventismo economico contestava, infatti, l’assunto basilare dell’economia classica in base al quale “un atto di risparmio individuale è positivo per la domanda effettiva quanto un atto di consumo individuale”. La definiva una teoria “assurda, anche se quasi universale”. Quindi colpire il risparmio si può, anzi, si deve, così la gente sarà più propensa a spendere (la sua vera ossessione) evitando di lasciare i soldi in banca. L’operazione potrebbe avere successo se Renzi lanciasse un secondo appello (dopo quello alle massaie) ai padri di famiglia ammonendoli del fatto che “ogni volta che risparmi cinque scellini lasci senza lavoro un uomo per un giorno”. Se poi ci fosse ancora chi, nonostante gli appelli, si ostinasse a risparmiare troppo, allora a quel punto una patrimoniale sarebbe inevitabile. Piacerebbe sia a Keynes che ad Hayek. Il primo aveva anche elaborato un meccanismo inegnoso per realizzarla: si tratterebbe di riversare i soldi frutto della patrimoniale in una “gigantesca holding” che rilasci azioni di partecipazione ai tartassati in relazione a quanto versato in modo da poter ritirare i propri soldi finita l’emergenza finanziaria.

Eliminare l’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio è sinonino di deregulation, quindi è hayekiano così come abolire la Motorizzazione civile (o l’Aci) perché riduce il perimetro di influenza dello Stato negli affari dei privati. Peccato che, per ora, siano tutte promesse. Rifinanziare, invece, i Lavori Socialmente Utili è keynesiano, visto che lo fece anche il massimo esponente politico el keynesismo, Franklin Delano Roosvelt durante il suo primo mandato quando, per combattere la grande depressione, si inventò i “Lavori Socialmente Produttivi” per 250mila persone.

Il sussidio di disoccupazione è sia keynesiano che hayekiano, visto che erano d’accordo tutti e due. Ma mentre il primo pensava alla “piena occupazione” come obiettivo raggiungibile attraverso la spesa pubblica, il secondo pensava che la piena occupazione potesse essere raggiunta solo se lo Stato lasciava che l'economia facesse il suo corso. Al contrario Keynes pensava che “l'impresa privata, se lasciata a sé stessa, non può garantire il pieno impiego e non può eliminare la disoccupazione periodica di massa e le recessioni”. Quindi era favorevole (e Lupi dimostra di aver imparato la lezione) ai sussidi alle imprese, agli incentivi, ai soldi erogati ai privati anche a fondo perduto. A lungo andare l’inflazione aumenterebbe per una eccessiva immissione di denaro pubblico nel sistema? “Nel lungo periodo saremo tutti morti”, risponderebbe Keynes.

Quando Renzi ha detto che “chi non vuole cambiare è di destra” incosapevolmente ha dato, però, ragione ad Hayek secondo il quale “uno dei tratti fondamentali della mentalità conservatrice è il timore del cambiamento” mentre “la posizione liberale si basa sul coraggio e sulla fiducia di sé, sulla disposizione a lasciare che il cambiamento segua la sua strada anche se non possiamo prevedere dove porterà”. In questo senso Renzi è un liberale perché nemmeno lui ha ben chiaro dove porteranno le riforme promesse. Ed è ancora di più hayekiano quando ha dato il via libera all’ingresso degli arabi di Etihad in Alitalia: l’economista austriaco sosteneva che “pensare in termini di ‘nostra’ industria o risorsa dista solo un passo dal richiedere che queste ricchezze nazionali siano amministrate nell’interesse nazionale”, ovvero, che siano nazionalizzate. Certo, il fatto che azionista dell’Alitalia siano diventate le Poste (pubbliche) non è perfettamente in linea con il pensiero dell’austriaco. E questo dimostra che se è inutile definire la politica economica del governo Renzi con i canoni tradizionali destra/sinistra, è molto più facile concludere che mentre sostiene di essere figlio di Hayek, Renzi subisce il fascino irresistibile di Keynes.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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