Corriere della Sera, Della Valle e l'attrazione per Rcs
Economia

Corriere della Sera, Della Valle e l'attrazione per Rcs

L'editoria è in crisi ma la guerra per il controllo di Rcs continua. Tra tentativi di recuperare le perdite e ricerca di prestigio, ecco cosa (e perché) accade in via Solferino

“I giornali sono sempre in attivo, anche quando perdono”, pare che dicesse Attilio Monti, il “Cavalier Artiglio”, petroliere rampante degli Anni Cinquanta, all'epoca editore del “Resto del Carlino” e della “Nazione”. Intendeva dire, probabilmente, che i ricavi d'immagine e potere derivanti dall'informazione erano tali, per un imprenditore, da bilanciare le eventuali perdite di bilancio delle aziende editoriali.

Ebbene, è passato un secolo e molte evidenze smentiscono ormai questa tesi, eppure il mondo dell'alta finanza probabilmente la pensa ancora così. Ed è forse proprio per questo antico assioma che in Borsa ogni giorno torna in scena una sorprendente battaglia sui titoli della Rcs, il colosso editoriale che controlla, tra l'altro, il Corriere della Sera.

Gli estremi noti e oggettivi della vicenda sono presto riassunti. La Rcs è controllata oggi – teoricamente, con presa saldissima: il 58% circa – da un “patto di sindacato” che vede al comando Mediobanca con circa il 14% seguita dalla Fiat col 12% e da un altro gruppetto di soci di quel che fu il “salotto buono” della finanza italiana, un gruppetto su cui si staglia ancora l'autorità morale di Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, che ha da sempre sul Corriere una sorta di “patronage” istituzionale.

Dal 2006, però, a questo gruppo storico si sono affiancati alcuni altri soci, in particolare due, all'epoca chiamati a rilevare le azioni rastrellate impunemente sul mercato – a causa della loro avventatezza e della distrazione del patto di sindacato medesimo – i cosiddetti “furbetti del quartierino”, capitanati da Stefano Ricucci, ovvero i fallimentari scalatori della Bnl. I due soci nuovi e forti che “salvarono” Rcs dai barbari romani sono Giuseppe Rotelli, leader italiano nel settore della sanità privata e neoproprietario del semi-fallito San Raffaele di Milano, e Diego Della Valle, l'imprenditore del gruppo Tod's.

Il primo vanta la proprietà di un 16% circa delle azioni Rcs, il secondo è attestato all'8,8%; ai due si è affiancato negli ultimi tempi un consulente milanese trentottenne, Alessandro Proto – sede legale a Londra, operativa a Chiasso - che ha appena depositato in Consob un documento che dimostra il controllo, da parte sua, di una quota complessiva del 2,8% della Rcs, rastrellata per conto di clienti stranieri: il brasiliano Jorge Froemming, gli indiani Mushra Alrazmi e Kushal Pal Singh e lo statunitense Paulius Broad.

Insomma, i tre ousider – se mai concertassero un'azione comune - avrebbero a disposizione un 28% circa della Rcs: che però supera di poco la metà della quota del patto di sindacato del gruppo, che quindi comanda ancora, senza “se” e senza “ma”.

Se questo è il quadro dell'azionariato del gruppo, il quadro del settore editoriale è altrettanto confuso ma nel negativo.

La crisi è mondiale, ed è storica; il travaso del valore dalla carta stampata al web è tumultuosamente in corso, e per ogni dollaro di ricavo in più che i colossi editoriali traggono da internet ne perdono almeno 10 nella carta. In tutto il mondo si susseguono le ristrutturazioni aziendali sanguinose, in Italia la crisi appare ovattata ma, nel 2012, sono state finora 58 finora le aziende editoriali che hanno aperto lo stato di crisi e dei 20 mila giornalisti lavoratori dipendenti la metà lavora in aziende in perdita.

Un “Tycoon” globale come Rupert Murdoch, padrone in casa sua (senza patti di sindacato tra le antenne, per capirci) le ha provate tutte per cavalcare la tigre della migrazione dagli “old” ai “new” media – ha lanciato giornali nativi per tablet-pc e free-press cartacei vecchio stampo, televisioni pay e televisioni free, ci mancavano solo segnali di fumo e tam-tam, ha pepato generosamente i titoli dei siuoi tabloid con spiate varie e scandaletti a contorno -  eppure ha perso quattrini praticamente su tutta la linea. Nessuno sa dove andrà a parare il settore.

Eppure, a quanto sembra, tutti vogliono Rcs. Perchè

Intanto perchè tutti quella che la vogliono – Proto a parte – ne sono coinvolti da almeno sei anni, e sono in perdita secca sugli investimenti fatti: per cui, tanto per provarci, comprano ancora per “fare media”; poi perchè è evidente che i patti di sindacato “made in” Mediobanca si reggono a malpena, ovvero sono destinati a sfasciarsi tutti, presto o tardi, e a rimettere in gioco gli equilibri di controllo delle società dove oggi imperano, a cominciare dalle Generali, che è la vera posta in gioco dei prossimi anni: e si sa che se crollano i patti di sindacato, i titoli delle società “liberate” s'impennano, dando modo a chi li ha di ristorarsi delle perdite pregresse.

Infine perchè forse l'ego dei contendenti è talmente grande da far pensare a ciascuno di essi che... “ah, se avessi le mani libere, quanto saprei guadagnare con quell'azienda!”. Pie illusioni.

La verità è forse anche e soprattutto un'altra: storicamente, in Italia più che altrove, su tre generi d'impresa gli imprenditori più bravi si sono rotti le ossa: squadre di calcio, compagnie aeree e giornali. Tre generi diversissimi eppure accomunati da un'aura di prestigio, di “glamour”, di potere para-politico: e in uno di questi settori, il calcio, proprio Diego Della Valle è già apprezzato operatore (di discreta fortuna, sia detto per rendere onore al merito) con la Fiorentina.

Controllare una squadra di successo dà prestigio e popolarità; possedere una compagnia aerea fa sentire "fighi"; essere editori fa dare del tu ai potenti di quel genere di potere – la politica – che non si compra (soltanto) con i soldi guadagnati facendo impresa ma che si conquista con il consenso popolare. Per non parlare della sensazione diretta di potere spicciolo che il controllo di un grande giornale conferisce a chi ce l'ha – il “Cavaliere Artiglio” insegna - un potere spicciolo che in tanti casi anche recenti e anche in Italia ha effettivamente sortito effetti sorprendenti, come dimostrano i palazzinari che, grazie ai giornali quotidiani controllati nelle loro città di riferimento, hanno ampiamente recuperato con i favori edilizi ricevuti dalle giunte comunali che condizionano a mezzo stampa i quattrini persi per finanziarie i quotidiani..

Ma sul piano del business specifico, il futuro dell'editoria è assai più incerto. Che i grandi “brand” editoriali – testate prestigiose e apprezzatissime come il Corriere della Sera, ad esempio – siano destinati a conservare nel tempo il loro valore, ancorchè nel mutato ambiente del web, è poco ma sicuro. Che invece questa migrazione avvenga in tempi, modi e con costi ragionevoli e prevedibili, al punto da permettere calcoli significativi sul ritorno dell'investimento, è assai improbabile.

Eppure su Rcs la guerra continua. Contenti loro.

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Sergio Luciano