Economia

Sull’Italia Rehn ha torto, ma non del tutto

Contagia o non contagia? Come stanno davvero le cose: l’Italia è ancora una fonte d’infezione? Mario Monti se l’è presa e ieri ha risposto piccato e un po’ depresso al commissario finlandese Olli Rehn. L’ex giocatore di calcio (ha militato …Leggi tutto

Contagia o non contagia? Come stanno davvero le cose: l’Italia è ancora una fonte d’infezione? Mario Monti se l’è presa e ieri ha risposto piccato e un po’ depresso al commissario finlandese Olli Rehn. L’ex giocatore di calcio (ha militato nella squadra di Mikkali, la sua città, in massima divisione) diventato economista, dopo aver sentenziato che il Bel Paese resta un pericolo per l’intera zona euro, ha lodato Giorgio Napolitano e spera in lui perché a Roma possa nascere finalmente un governo. In realtà, è rimasto un po’ indietro, perché a questo punto sarà il successore di Napolitano a prendere in mano il filo di Arianna. Forse Rehn voleva auspicare un secondo mandato per “re Giorgio”, o probabilmente non segue attentamente la politica italiana. Barocca e confusa com’è, non si può fargliene rimprovero. Diverso, invece, per quel che riguarda l’ennesimo allarme.

Mettiamo da parte ogni orgoglio nazionale e guardiamo i dati. Se quelli del Documento economico finanziario pubblicato ieri non sono falsi, allora bisogna dire che i conti pubblici stanno migliorando e il rapporto tra debito e prodotto lordo comincerà a scendere già nella seconda metà dell’anno. Dunque, il percorso di rientro non si è interrotto e il fiscal compact viene rispettato. Lo hanno capito anche i mercati? Certo è che hanno allentato la pressione tanto che lo spread è inchiodato a quota 300, ancora troppo alto (bisogna tornare sotto i duecento), ma è comunque un sollievo.

C’è una spiegazione tecnica che riporta alla rivoluzione monetaria giapponese: la banca centrale sta iniettando liquidità a tutto spiano e gli operatori finanziari si indebitano in yen a tassi negativi e guadagnando sul cambio, investono in titoli italiani che rendono oltre il 4% e incassano un bel guadagno. Tuttavia, resta il fatto che non comprerebbero Btp se temessero di non essere rimborsati o che possano venir svalutati come in Grecia. Dunque, l’effetto Giappone si combina con aspettative migliori sull’euro e sull’Italia. Esse sono dovute alla politica del governo Monti? In parte. Anche se l’impatto sulla congiuntura è stato durissimo e ha provocato una recessione peggiore del previsto. Molto più positivo, invece, è quel che potremmo chiamare l’effetto Draghi-Napolitano.

E’ evidente, infatti, che la telefonata tra il presidente della Repubblica italiana e il Presidente della banca centrale europea il 30 marzo è servita a iniettare una buona dosa di tranquillità nel momento di massima confusione politica, quando lo stesso Napolitano era sul punto di dimettersi. Il rischio è stato scongiurato ed è venuto, al contrario, un messaggio chiaro: in Italia c’è un presidente e c’è un governo non delegittimato dal vecchio né dal nuovo parlamento. Ancora per poco, ma entrambi restano in sella. Quanto alla mossa dei dieci saggi, sarà stata pure una perdita di tempo come si è lasciato scappare uno dei decemviri, il costituzionalista Valerio Onida. Ma il tempo è denaro (in particolare sui mercati finanziari). Chiamatela pure diplomazia dell’annuncio, però ha funzionato nell’estate del 2012 quando Draghi ha detto che avrebbe fatto tutto, ma proprio tutto per difendere l’euro. E sta funzionando anche in Italia.

Detto questo, è chiaro che bisogna mettere mano ai fondamentali, non più quelli della finanza pubblica, ma quelli del sistema produttivo. E qui Roma deve fare di più, molto di più. Pier Carlo Padoan, vicepresidente dell’Ocse, nel commentare i segnali positivi che vengono dal superindice dell’organizzazione tra i paesi industrializzati, spiega che l’Italia è vicina alla svolta, dunque il prodotto lordo dovrebbe cominciare a risalire. Tuttavia il potenziale produttivo, oggi come oggi, è ridotto a un punto percentuale di crescita in termini reali (circa il 3 per cento inflazione compresa). Davvero troppo poco, siamo vicini alla stagnazione, non ancora come il Giappone, ma quasi. Pesa il debito storico che assorbe risparmio e spiazza gli investimenti? Anche. Ma soprattutto pesa una economia illanguidita, servizi inefficienti, industria spaccata tra l’avanguardia che compete e il grosso che arranca, lobby, privilegi, rigidità, lacci e laccioli che legano a terra il corpaccione vecchio e imbolsito. Insomma, ci vogliono le riforme di struttura. E per farle ci vuole un governo. Su questo, dobbiamo ammetterlo, Olli Rehn ha le sue ragioni.

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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