Perché i banchieri hanno snobbato Visco
Economia

Perché i banchieri hanno snobbato Visco

Ignazio Visco non si attendeva baci e abbracci, ma le barricate scavate dai banchieri hanno sorpreso anche lui. Il governatore della Banca d’Italia sabato scorso all’assemblea del Forex, ha chiesto più poteri alla vigilanza fino alla facoltà di rimuovere i …Leggi tutto

Ignazio Visco non si attendeva baci e abbracci, ma le barricate scavate dai banchieri hanno sorpreso anche lui. Il governatore della Banca d’Italia sabato scorso all’assemblea del Forex, ha chiesto più poteri alla vigilanza fino alla facoltà di rimuovere i manager dal loro incarico. Ha risposto Giovanni Bazoli, presidente della Intesa Sanpaolo, in attesa di riconferma alla venerabile età di 81 anni: “E’ solo un auspicio”. E Federico Ghizzoni, nominato da poco a capo della Unicredit: “La scelta spetta ai consigli di amministrazione”. “Un’ipotesi da prendere in considerazione solo in contesti particolarmente gravi”, secondo Vittorio Massiah, consigliere delegato della Ubi. Quanto al neo presidente dell’Assobancaria, Antonio Patuelli, “serve un quadro unico in Europa”. Campa cavallo.

L’offensiva di palazzo Koch, dunque, è stata respinta da un coro unanime. Per il momento. Nonostante gli scandali, i banchieri sono un corpo potente, sanno far quadrato nel difendere se stessi. L’Italia, del resto, è ancora bancocentrica: non esiste un mercato finanziario vero; metà della borsa è composta da titoli bancari e assicurativi, l’altra metà è sotto inchiesta giudiziaria; i fondi e gli altri investitori istituzionali sono filiazioni bancarie. Ogni volta si dice che occorre creare nuovi canali per finanziare le imprese facendo ricorso diretto al mercato, all’infuori dalle banche, e il governo con il decreto Sviluppo ha introdotto anche alcuni incentivi; ma si tratta di poche eccezioni, pionieri senza grande seguito. L’indebitamento delle grandi imprese, del resto, le mette sempre più nelle mani delle banche. Il capitale di rischio è capitale creditizio.

La Banca d’Italia, nel chiedere maggiori poteri, introduce un elemento critico (e anche autocritico) rispetto alla tendenza prevalsa con la riforma anti-Fazio (sarà irriverente chiamarla così, ma è vero). La nuova linea, dopo il 2005, doveva essere sempre più orientata al mercato. Le banche sono società per azioni, anzi anche le banche popolari dovrebbero diventarlo fino in fondo, quindi per loro vale il diritto societario privato. A che titolo un’autorità pubblica può decidere le nomine?

Non solo. La Banca d’Italia resta la banca delle banche, i suoi “partecipanti al capitale” sono nell’ordine Banca Intesa, Unicredit, Generali, Cassa di risparmio di Bologna e pro quota tutte le principali aziende creditizie italiane (il Monte dei Paschi è al nono posto con 19 voti all’assemblea). Quando mai si è visto che i controllori si facciano decapitare dal controllato? Naturalmente le cose sono molto più sfumate. E l’autorevolezza del governatore è sempre stata la fonte principale della sua autorità. Ma da quando la Bce ha assorbito le funzioni monetarie, le banche nazionali hanno sofferto una diminutio. E’ una valutazione di carattere politico e istituzionale, dipende dai rapporti di forza, non tanto dalla figura che guida la tecnostruttura.

Molte possono essere le conseguenze da trarre: per esempio cambiare l’assetto della Banca d’Italia sottraendola alle banche e aumentando la propria indipendenza, una proposta emersa otto anni fa discutendo di riforma del risparmio; introdurre una norma di legge che responsabilizzi fino in fondo la cattiva gestione di una banca tenendo conto anche della tutela costituzionale del risparmio; collegare, anche in questo caso per decisione del parlamento, la concessione di bonus alle performance effettive (premi se si fa profitto, sanzioni se si va in perdita per errori manageriali). Ci sono tante cose da fare anche tenendo conto delle esperienze internazionali. Occorre la volontà di farle. Invece, i no dei banchieri a Visco sono passati in cavalleria.

Non è il momento di parlarne, con le elezioni agli sgoccioli? Al contrario: gli errori delle banche e l’arroganza dei banchieri hanno provocato gran parte dei guai nei quali siamo immersi. Ed è scandaloso che i partiti rifiutino di discuterne, non con slogan da caffè sport, ma con serie proposte che rovescino le piramidi bancarie: in cima la base (cioè i risparmiatori-depositanti) in fondo il vertice che oggi s’arroga decisioni delle quali non risponde a nessuno, sicuro che ci sarà sempre un salvagente, proprio come per il Monte dei Paschi di Siena.

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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