Melfi, quanto ci costerà ancora?
Economia

Melfi, quanto ci costerà ancora?

E’ confermato: la cassa integrazione straordinaria per i 5.500 lavoratori della Sata di Melfi, comincerà l’11 febbraio e durerà fino al 31 dicembre 2014. Un tempo lunghissimo, forse a quel punto la Fiat non ci sarà più, si chiamerà Chrysler, …Leggi tutto

E’ confermato: la cassa integrazione straordinaria per i 5.500 lavoratori della Sata di Melfi, comincerà l’11 febbraio e durerà fino al 31 dicembre 2014. Un tempo lunghissimo, forse a quel punto la Fiat non ci sarà più, si chiamerà Chrysler, magari Sergio Marchionne, realizzata la fusione, intascherà i suoi bonus e andrà a sciare in Svizzera. Da Detroit, il manager dal maglioncino nero getta acqua sul fuoco: Stiamo installando le nuove linee per fare le nuove vetture. Continueremo a produrre la Punto. Non capisco qual è il problema, si tratta di una richiesta standard, una procedura normale, che viene fatta per coprire i lavoratori impattati dall’installazione di nuove linee“. I problemi in realtà sono tanti e ancor più gli interrogativi. Ma ce n’è uno che lui, americano com’è, capirà al volo: chi paga?

La cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal governo ed erogata dall’Inps attingendo a un fondo alimentato dai datori di lavoro e dai lavoratori con un contributo rispettivamente pari allo 0,6% e allo 0,3% della retribuzione lorda. L’indennità è pari all’80 per cento della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito lavorando, fino a un massimo di 40 ore settimanali, e comunque al di sotto di un tetto di retribuzione mensile stabilito di anno in anno. L’importo è inoltre decurtato del 5,84 per cento (pari all’aliquota contributiva prevista a carico degli apprendisti). Anche nella CIGS vi è inoltre un onere a carico dell’impresa pari al 4,5% o al 3% delle integrazioni salariali anticipate rispettivamente per quelle con più di 50 o fino a 50 dipendenti. L’ammontare del contributo addizionale è raddoppiato nel caso di mancata ottemperanza del decreto ministeriale. È comunque raddoppiato del 50% se il trattamento si protrae oltre 24 mesi.

In tempi normali, il fondo è sostanzialmente in equilibrio, ma non è più così da quando è scoppiata la crisi. Nel corso del 2010 la cassa (comprensiva della integrazione in deroga che il governo ha aggiunto nel 2009 per imprese e lavoratori che non ne avrebbero avuto diritto secondo la norma) è costata all’Inps 2,8 miliardi che sommati al saldo negativo dell’anno precedente e a quello del 2011 produce un onere totale di oltre sei miliardi. Per l’anno appena concluso non ci sono cifre ufficiali. Non si sa quante ore di cassa integrazione ha utilizzato la Fiat dal 1980 quando mise in mobilità 25 mila dipendenti. Nel bilancio del gruppo la voce non è più contabilizzata dal 1998. Circola una cifra sugli aiuti pubblici ottenuti in qualsiasi forma: poco meno di cento miliardi di euro dalla fine degli anni ’70 in qua. Ma bisogna anche calcolare quanto è rientrato all’erario in termini di tasse sui salari e sui profitti. Ogni stima ha suscitato sempre polemiche finché non è arrivata la sentenza finale di Cesare Romiti, ormai osservatore distaccato: “La Fiat è stata un’industria assistita? Certo che sì, ma ciò vale per tutta l’industria italiana”.  

E Melfi, è vero che è stato costruito a carico del contribuente? Nel 1988 viene varato il contratto di programma per il nuovo stabilimento di automobili a Melfi e la fabbrica di motori a Pratola Serra. In totale si trattava di impegnare 6.672 miliardi di lire, dei quali 3.100 miliardi, poco meno della metà, a carico dello stato sotto forma di aiuti in conto capitale, finanziamenti agevolati, prestiti obbligazionari ad hoc. Nell’insieme si sarebbero dovuti creare 8 mila e 20 nuovi posti di lavoro. Negli anni successivi il piano ha avuto una serie di aggiustamenti, alla fine l’impegno dello stato si è ridotto al 39% dell’investimento totale e gli occupati sono arrivati a 9.210. Le due società, Sata a Melfi e Fama a Pratola, hanno realizzato un utile di 1400 miliardi e hanno risparmiano 600 miliardi di imposte.

I dati della commissione europea sugli aiuti di stato mostrano che l’Italia è passata da 15, 23 a 3,31 miliardi di euro tra il 1990 e il 1999, la Francia da 5,1 a 4,1, la Germania da 9,88 a 7,65. Quanto è andato al settore automobilistico? Una stima della Ue nel periodo 1977-87 mostra che la Fiat ha ricevuto 3,21 miliardi di euro, meno dell’Alfa Romeo (3,48) e della Renault (4,49) che però erano aziende di stato, ma addirittura il doppio rispetto alla Volkswagen (1,56), alla Peugeot (1,13) e alla Opel della General Motors (1,1). Dal 1992 al 1999, l’Italia distribuisce al settore automobilistico dal 1992 al 1999 3 miliardi 353 milioni di eco; la Germania 1 miliardo e 140 milioni, la Francia appena 173. Nel decennio successivo la pacchia è finita. Ma nel 2004 la Fiat, arrivata sull’orlo del crac, ottiene altre due tranche di aiuti, per un miliardo e 900 milioni di euro, con un onere per il contribuente rispettivamente del 12 e del 25 per cento.

“Non vogliamo più incentivi”, aveva proclamato Marchionne chiudendo Termini Imerese. Adesso torna sui propri passi? Sostegni sociali alla ristrutturazione esistono ovunque e persino la Cina, ora che lo sviluppo industriale arrivato a uno stadio più avanzato, li sta adottando. Funzionano se le imprese li usano davvero come ponte per investire e produrre nuovi beni. Se no, meglio il licenziamento con una buona indennità e un solido programma di aggiornamento professionale in vista di un nuovo impiego. La Fiat promette faville dalla nuova Melfi. A meno che nel 2014 non chieda la proroga di un anno. La legge lo prevede e Marchionne ha studiato legge. Il nostro può sembrare un miope conto della serva di fronte a strategie industriali di portata ormai globale (è stato confermato che verrà prodotta una jeep in Cina, ma solo per il mercato locale). E tuttavia, no taxation without representation: lo ha scritto anche Obama sulla targa della sua limousine presidenziale.

 

 

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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