E se Draghi facesse come Bernanke?
Economia

E se Draghi facesse come Bernanke?

“Sono ormai tre anni e mezzo da quando è cominciata la ripresa, ma la disoccupazione rimane troppo elevata. Le condizioni oggi prevalenti sul mercato del lavoro rappresentano un enorme spreco di potenziale economico. Un ritorno alla prosperità su larga scala …Leggi tutto

“Sono ormai tre anni e mezzo da quando è cominciata la ripresa, ma la disoccupazione rimane troppo elevata. Le condizioni oggi prevalenti sul mercato del lavoro rappresentano un enorme spreco di potenziale economico. Un ritorno alla prosperità su larga scala richiede un sostanziale miglioramento nell’occupazione che a sua volta richiede una crescita economica più forte”. Chi l’ha detto? Paul Krugman o un altro keynesiano di sinistra come lui?

Il quiz l’ha lanciato sul suo blog Brad DeLong, economista all’Università di California delong.typepad.com/sdj/2012/12/paul-krugman-or-ben-bernanke e la risposta è: l’ha detto Ben Bernanke. Sì sono proprio le parole con le quali il capo della Federal Reserve, cioè il banchiere centrale americano, ha spiegato la sua svolta storica: collegare il costo del denaro ufficiale al tasso di disoccupazione, più quest’ultimo sale più la Fed fa scendere gli interessi. E’ vero, lo statuto prevede che la banca centrale negli Stati Uniti guardi sia a contenere l’inflazione sia a favorire l’occupazione (stabilità e crescita si direbbe in Europa), ma adesso siamo al capovolgimento delle priorità. E la scelta viene non certo da un sinistrorso espansionista, ma da uno dei migliori studiosi e allievi di Milton Friedman.

E’ l’America, ragazzi. La terra dove la teoria è al servizio della prassi, dove quando le idee non capiscono la realtà, tanto peggio per le idee. Esattamente il contrario di quel che accade nel Vecchio Continente. Per non parlare dell’Italia.

Ebbene, farà mai una scelta tanto radicale Mario Draghi? Persona dell’anno secondo il Financial Times, salvatore dell’euro a giudizio unanime e ancora uomo decisivo nel 2013 come ho scritto su Panorama (Il mondo nel 2013, pag.56, Il principe e l’euro), ha già portato la Banca centrale europea al limite delle sue possibilità. Ha cambiato le attese e il sentimento dei mercati con due frasi pronunciate nell’agosto scorso: “Siamo pronti a fare del tutto per salvare l’euro” e, ancor più forte, “Credetemi, basterà”. Perinde ac cadaver, come ha imparato quando era giovane alla scuola dei gesuiti. Ha finanziato le banche in modo illimitato all’un per cento, ha preparato un meccanismo per salvare i governi sull’orlo del collasso (sia pur imponendo drastiche condizioni) comprando titoli pubblici. Anche se per ora non è stato ancora messo in opera, è servito a tenere buona la speculazione.

Bene, bravo, e adesso vogliamo il bis. L’instabilità finanziaria non è finita, ma il macigno che abbiamo davanti nel prossimo anno si chiama disoccupazione. Proprio come ha detto Bernanke. Solo che in Europa la situazione è ancor più grave. Il prodotto interno negli Usa cresce del 2,7 per cento l’anno e la gente che cerca lavoro è sotto l’8% della popolazione attiva. Sono ancora troppi e l’economia va troppo piano. E che dire allora dell’Eurolandia in recessione e con una disoccupazione che sale all’11,7%?

In America questo è un problema che riguarda tutti i regolatori del sistema, quindi sia la politica di bilancio sia la politica monetaria. In Europa no, c’è una divisione dei compiti per paura che la banca centrale diventi l’argentiere del principe. Un retaggio della monarchia assoluta, e senza dubbio bisogna tener conto dei guasti provocati ogni qual volta il governante di turno ha imposto di stampare moneta per sostenere i suoi sollazzi o le sue guerre. Tuttavia, oggi viviamo in un mondo sempre più integrato in cui la moneta, quella generata dall’attività economica così come quella che esce dalle zecche statali, circola senza limiti alla velocità della luce. E’ chiaro che due impostazioni tanto diverse come quelle che guidano la Fed e la Bce non possono convivere senza creare guasti.

Lo hanno capito i britannici. Il nuovo governatore della Banca d’Inghilterra, il canadese Mark Carney ha aperto il dibattito internazionale e il cancelliere dello Scacchiere (ministro del Tesoro) George Osborne si è detto favorevole a cambiare target: non più l’inflazione che del resto oggi non è un problema nel modo occidentale (è sotto il due per cento un po’ ovunque), ma la crescita. L’ortodossia germanica è isolata, anche se resta abbarbicata al trattato istitutivo della Bce. Ma a questo punto, nel bel mezzo di una crisi che ha fatto saltare tutti i vecchi parametri, teorici e pratici, non sarebbe il caso di rivedere anche quel trattato? Lo si è fatto per le politiche di bilancio con il fiscal compact. E’ ora di pensare a un nuovo monetary compact.

Leggi anche cingolo.it/2012/marzo-2013-e-bersani-ando’-da-draghi/

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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