Caro Draghi, per le imprese più fantasia
Economia

Caro Draghi, per le imprese più fantasia

“Perché le banche non finanziano le piccole e medie imprese?” La domanda rivolta a Mario Draghi lunedì 8 da un parlamentare europeo, suona come il grido del bambino nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen. Risponde quasi …Leggi tutto

“Perché le banche non finanziano le piccole e medie imprese?” La domanda rivolta a Mario Draghi lunedì 8 da un parlamentare europeo, suona come il grido del bambino nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen. Risponde quasi meravigliato il presidente della Banca centrale europea: “Non possiamo obbligare le banche, possiamo solo continuare a tenere bassi i tassi, come faremo”. Draghi ha ragione. Viviamo in un regime di mercato. E persino il Gosplan sovietico non era onnipotente. Tuttavia, la questione resta e dimostra i limiti dell’attacco alla recessione solo attraverso la politica monetaria.

Le banche centrali sono state preziose per evitare che la crisi diventasse una vera e propria depressione, con il calo verticale e prolungato dei prezzi e dei redditi. Chiunque abbia buon senso deve ammetterlo, persino i più dottrinari seguaci della teoria tedesca. Tuttavia, da un alto la politica della moneta facile non fa che prendere tempo, spostando in avanti la resa dei conti (da questo punto di vista funziona esattamente come il ricorso al debito pubblico), dall’altro non riesce più a trasmettere gli impulsi all’insieme dell’economia.

Il canale è otturato, lo ha detto molte volte anche Draghi. E ciò dipende dal fatto che il flusso monetario passa soprattutto attraverso le banche. La Bce le ha inondate di liquidità con prestiti all’un per cento. Oltre mille miliardi di euro sono circolati nei bilanci delle aziende creditizie. Ma sono serviti a salvarle, non a rilanciare il credito. Perché le banche non hanno ancora smaltito la sbornia che esse stesse hanno contribuito a creare. Qui, Ben Bernanke, nei suoi anni trascorsi a studiare la grande crisi del 1929, ha scritto pagine importanti con la sua teoria dell’acceleratore finanziario (in sostanza, imperfezioni, inefficienze, storture nei mercati creditizi amplificano gli choc economici).

La situazione è peggiore in Europa dove tre quarti dei finanziamenti alle imprese passano attraverso le banche (negli Stati Uniti è meno della metà). Dunque, per sgorgare le tubature bisogna ripulire il sistema. Anche questo non può farlo la banca centrale, è una operazione che spetta ai governi, agli azionisti, ai banchieri.

Ma non si rimetteranno mai davvero in moto le imprese, soprattutto le piccole e medie, povere di capitale e di credito, se non si cambia il canale di finanziamento passando direttamente al mercato. Come? Emettendo titoli ad hoc (garantiti questi sì dalla banca centrale), creando o rafforzando i fondi privati e pubblici (in Italia c’è il Fondo di investimento che andrebbe potenziato e rilanciato),avviando una pluralità di interventi a carattere non speciale (aggettivo che evoca l’assistenzialismo del passato), ma straordinario.

Nessuna nostalgia dell’intervento pubblico che ha fatto fallimento al tramonto della prima repubblica. Piuttosto il ricorso a strumenti nuovi, con uno sforzo di immaginazione, di creatività finanziaria che non serve solo, come i derivati, a mettersi al riparo dai rischi, ma a prendersi nuovi rischi produttivi, senza i quali sono esiste crescita. Anche nel mercato ci sono più cose di quante contenga ogni filosofia.

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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