Cari tedeschi, purtroppo siete più ricchi voi
Economia

Cari tedeschi, purtroppo siete più ricchi voi

In Germania, ormai, è un nuovo luogo comune: cosa vogliono questi italiani che sono più ricchi di noi? La danza è stata aperta dalla Banca centrale europa, con tanto di grafici e tabelle che ci mettono in difficoltà. Perché da …Leggi tutto

In Germania, ormai, è un nuovo luogo comune: cosa vogliono questi italiani che sono più ricchi di noi? La danza è stata aperta dalla Banca centrale europa, con tanto di grafici e tabelle che ci mettono in difficoltà. Perché da una parte dimostrano che non siamo poi così straccioni come a lungo eravamo stati dipinti (e ciò è motivo d’orgoglio). Dall’altra forniscono l’alibi per un nuovo attacco ben più velenoso il cui messaggio è tranchant: visto che potete farlo, pagherete caro pagherete tutto.

E’ vero che la nostra ricchezza patrimoniale, sia quella immobiliare sia quella finanziaria, è superiore a quella dei tedeschi. Ma attenzione, questa è una fotografia statica e parziale. E’ il dagherrotipo del passato. Nel corso degli anni e con la involuzione della crisi, le cose sono cambiate molto rapidamente. Diciamo che la Bce avrebbe più ragione se fossimo ancora nel 2007. Anzi, fino al 2009, perché lo scoppio della bolla immobiliare ha colpito la Germania più dell’Italia. Poi, però, è arrivata la guerra dello spread, cioè la crisi dei debiti sovrani, mentre l’economia tedesca scattava in avanti come una molla, facendo registrare due anni di crescita molto forte. Al contrario, l’Italia si avvitava nella spirale che nell’autunno del 2011 l’ha portata sull’orlo del crac. Non bisogna mai dimenticare che c’era denaro liquido solo per pochi giorni.

Come stanno oggi le cose? Ebbene, se calcoliamo la ricchezza non tanto ai valori storici, ma a quelli di mercato (mark-to-market) la situazione è, purtroppo, molto diversa. I prezzi degli immobili sono scesi di almeno il 30%, ma soprattutto s’è inaridito il mercato. C’è paura, c’è sfiducia, la gente segue un comportamento razionalmente cautelativo. Dunque, chi volesse vendere, oggi, non solo dovrebbe accettare un taglio del patrimonio, ma non troverebbe acquirenti.

Un problema esiste anche per la ricchezza mobile. La borsa è ai minimi (mentre in Germania si è ripresa), i buoni del tesoro a medio-lungo termine valgono 20 se non 30 punti in meno. E per loro il mercato secondario non è affatto ricettivo. Al contrario, il Bund, il titolo decennale del governo  tedesco, è diventato una sorta di bene rifugio, ben più dell’oro: tutti lo comprano anche se i suoi rendimenti sono vicini a zero, per mettere al riparo i propri risparmi. Ciò significa che c’è un continuo e consistente afflusso di capitali, anche dagli altri paesi della zona euro, il che aumenta i divari reali all’interno del mercato unico e mette in discussione la tenuta dell’unione monetaria.

Tutto questo mentre la recessione sta riducendo i redditi, quindi sempre più c’è bisogno di intaccare i risparmi accumulati dalla generazione precedente se non proprio di mangiarsi il capitale come succede per gli imprenditori in crisi (quelli seri, non quelli che hanno messo i quattrini nei paradisi fiscali).

“Raramente le cifre sono state usate tanto scorrettamente per obiettivi politici”, scrive Paul De Grauwe, docente alla London School of Economics ed ex membro del parlamento belga per i liberal-democratici fiamminghi. L’economista rilegge i dati e arriva a conclusioni opposte (che coincidono con il buon senso): 1) la Germania è significativamente più ricca di paesi come l’Italia per non parlare di Spagna e Portogallo; 2) la ricchezza è fortemente concentrata tra le famiglie più abbienti, quindi non bisogna solo comparare la media; 3) occorre calcolare anche lo stock di capitale pro capite per capire la ricchezza di un paese, così facendo vediamo che la Germania è a quota 145 mila euro, l’Italia supera di poco i centomila e la Spagna non arriva a 80 mila.

Ancora una volta la statistica produce fumo, non certezze e spesso anche i più seri studiosi finiscono per trovare solo ciò che vogliono cercare. Ma questa volta la discussione non si svolge in un cenacolo accademico, bensì nei caffè, in piazza, nelle assemblea di partito, come quella di Alternative fuer Deutschland, domenica scorsa a Berlino, la nuova forza euroscettica messa in piedi da personaggi autorevoli come l’ex presidente della confindustria tedesca o nella stessa assise della CDU, il partito di Angela Merkel. In guardia, dunque, spesso la magia dei numeri è solo un’illusione.

 

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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