Alla Biennale di Venezia è sbarcato un marxista piccolo piccolo
Ansa/Andrea Merola
Economia

Alla Biennale di Venezia è sbarcato un marxista piccolo piccolo

Per il curatore Okwui Enwezor "il capitale è il grande dramma della nostra epoca". Poi a "How to spend it" racconta le sue giornate...

Voi pensavate di sapere che cosa fosse il radical chic. Lo pensavo anche io. Ma Okwui Enwezor ha spinto il radicalismo da salotto oltre ogni immaginazione toccando vette inaccessibili perfino a Barbara Spinelli. Enwezor, per i pochi che non lo sanno, è il direttore artistico della Biennale d’arte di Venezia definita da Benjamin Genocchio su news.artnet.com (citato dal sito Dagospia) come “la più cupa, infelice e brutta che Venezia possa ricordare”. Ma non sono esperto d’arte, quindi Genocchio si potrebbe sbagliare. Franco Fanelli su Il Giornale dell’Artedà dell'evento un giudizio più positivo, spiegando che "il cuore del Padiglione Centrale è stato tramutato in uno spazio polifunzionale privo di opere, una cavea in cui si svolgeranno proiezioni e dibattiti e si leggeranno per tutta la durata della mostra Il Capitale di Karl Marx". Per 7 mesi si legge Karl. Senza interruzione. A Venezia. Nel 2015. Per 7 mesi. Giorno e notte. Molto chic.

Sul sito della Biennale il nigeriano Okwui Enwezor spiega la sua scelta così: "Esiste una preoccupazione diffusa che è al centro della nostra epoca e modernità. Tale preoccupazione è la natura del “capitale”, sia nella sua finzione sia nella sua realtà". Si può essere d’accordo oppure si può essere in disaccordo, ma una stessa persona non può essere d’accordo e in disaccordo contemporaneamente. Soprattutto quando quella persona è Okwui Enwezor affetto da una dissociazione, detta anche doppia morale o radical-chicchismo all’ennesima potenza, che lo porta a raccontare il suo week-end-tipo non a Il Manifesto, non a Left, non a Micromega ma al patinato giornale patinato dove i capitalisti italiani possono autocompiacersi: How to Spend it del Sole24Ore.

Quindi abbiamo: un marxista anticapitalista che impone agli appassionati d'arte la lettura ininterrotta di Marx e poi parla ad un giornale che si chiama How to spend it (dove "it" sta per "capitale", ma con la lettera minuscola), allegato al quotidiano dei padroni. Ma non sono esperto d'arte, quindi far leggere Marx e parlare con "How to spend it" potrebbe essere segno di una modernissima contraddittorietà. Molto artistica. Molto chic. Come estremamente chic è la foto che accompagna l'articolo di Enwezor che lo ritrae in posa lasciva-fighetta, modello "lei non sa chi sono diventato io" in molto proletari jeans, giacca di lino e pochette di seta a pois in tinta. Straordinariamente marxista.

E come passa il suo week-end-tipo lo splendido marxista del XXI secolo con pochette di seta in tinta? Qui viene il bello: infatti tutto fa pensare che chi fa leggere Marx per sette mesi di fila per rieducare i decadenti occidentali e trasforma una Biennale d’arte in un campo di prigionia ideologica, si occupi più della propria fame che di quella del mondo. "Il sabato inizia con un caffè e delle uova strapazzate sulla terrazza dell’Hotel Europa Regina" che, è vero, dà sul Canal Grande, ma è una stamberga da quattro stelle. Eppoi, si sa, la carne, anche quella di un fiero anticapitalista, antiamericano, antiliberale, antioccidentale, è debole e un paio di uova strapazzate sulla terrazza dell'Hotel Europa Regina non ne fanno un traditore della causa dei popoli sottomessi. Però, subito dopo le uova strapazzate, uno si aspetterebbe che quello che sul sito della Biennale ha scritto che "il capitale è il grande dramma della nostra epoca" si dedichi a elaborare nuove e più avanzati equilibri tra nord e sud del mondo, o almeno telefoni alla Boldrini. "Per pranzo, quando ho un po’ di tempo, vado da Quadri, in Piazza San Marco".

Vabbè, ma poi, ovviamente, il marxista tutto d’un pezzo, firmerà una petizione contro lo strapotere delle multinazionali. Beh, no. Il terzomondista a sbafo, quello che sempre sul sito della Biennale scrive che il capitale "incombe più di qualsiasi altro elemento su ogni sfera dell’esistenza, dalle predazioni dell’economia politica alla rapacità dell’industria finanziaria" si ferma "al Cantinone, già Schiavi, per un bicchiere di vino e dei cicchetti. Non mangio carne, quindi i miei preferiti sono quelli con melanzane, polpo, involtini di formaggio e salmone affumicato, o baccalà su pane tostato". Baccalà: pesce povero. Ci siamo, buon sangue non mente.

E poi? Facciamo una pausa perché questa frenesia anticapitalista fa venire la tachicardia a noi mollicci occidentali che dovremmo imparare ad apprezzare l’estrema modernità della struttura espositiva della Biennale di Venezia. La quale, come si è detto, ospiterà "una lettura dal vivo dei quattro libri di Das Kapital di Marx e gradualmente si amplierà con recitals di canti di lavoro, libretti, letture di copioni, discussioni, assemblee plenarie e proiezioni di film dedicati a diverse teorie ed esplorazioni del Capitale"». Traduco: si proietta un film e poi c’è il "dibbattito". Molto nuovo. Molto artistico. Molto antioccidentale.

Ma proseguiamo, perché la giornata del nostro è ancora lunga. Abbiamo lasciato Okwui Enwezor ai cicchetti del Cantinone, "da qui vado a cena alle Antiche Carampane. Di solito punto sul cartoccio di fritto misto - gamberetti e calamari – e poi ordino dei tagliolini al nero di seppia, seguiti da un pesce fresco". Però sarebbe sbagliato pensare che lo faccia perché non vuole condividere con le masse operaie la condizione di subalternità nella quale il turboliberismo le ha ricondotte, è solo che le Antiche Carampane "è un posto bellissimo dove concludere la serata".

Il socialista al tagliolino non ha finito. Tra una dissertazione su Athusser e una sul pluslavoro, ha tempo per un "prima di cena", che è il modo che i proletari di tutto il mondo uniti definiscono ciò che i decadenti borghesi chiamano "aperitivo". "Prima di cena di solito le mie scelte sono due: prendo un po’ di vino e formaggio da Vini da Arturo, un posto frequentato da veneziani oppure decido per un gin and tonic sulla terrazza del Bauers Hotel", hotel semplice e accogliente. Pensate che una camera (offerta last minute) può perfino arrivare a costare appena 665 euro. Praticamente una stamberga. Dev’essere stata la terrazza del Bauers (che tutti i cassaintegrati scrivono, sbagliando, senza la "s" finale. A loro la citazione corretta di Okwui Enwezor serva da monito: il Bauer di Venezia si scrive con la "s" finale) ad aver ispirato al nostro questo drammatico interrogativo (sempre dal sito della Biennale): "Come fare per afferrare appieno l’inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e articolarla?" E dev’essere stato il gin-and-tonic ad avergli fatto scrivere che (da notare l’"ovviamente" iniziale): "Ovviamente tutti noi abbiamo letto e leggiamo il Capitale. Per quasi un secolo abbiamo potuto leggerlo ogni giorno, in trasparenza, nei drammi e nei sogni della nostra storia, nelle sue dispute e conflitti, nelle sconfitte e nelle vittorie del movimento dei lavoratori che è la nostra unica speranza e il nostro destino". Troppo gin in quel tonic.

Ma non divaghiamo. "Il seguito della serata?", chiede a se stesso Enwezor su quel "ricettacolo di diseguaglianze" che è How to spend it. "Di solito vado a casa presto: sbrigo un po’ di lavoro e mi guardo i film di qualche artista, tra i tanti che mi hanno mandato". Buonanotte Karl.

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