Veneto Banca
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Economia

Veneto Banca: accusa di aggiotaggio anche per i 5 sindaci

La chiusura dell'indagine della Procura di Roma: avrebbero partecipato, con i vertici, a un "disegno criminoso, diffondendo dati non rispondenti al vero"

Risparmiatori uno, banche venete zero. È il risultato contenuto nel documento con cui la Procura di Roma ha chiuso a dicembre 2016 le indagini preliminari sul dissesto di Veneto Banca, ottenuto da Panorama.it. La faccenda riguarda solo l’istituto di Montebelluna e non tocca direttamente la Popolare di Vicenza (per cui le indagini sono ancora in corso). Inoltre va precisato che anche per Veneto Banca non c’è stato ancora neppure il rinvio a giudizio, ma gli elementi messi nero su bianco sono tali da costituire sicuramente un precedente importante nella vicenda del dissesto dei due istituti e dei loro piccoli azionisti gabbati. 

La novità più significativa è il pieno coinvolgimento dei sindaci della banca nell’accusa di aggiotaggio informativo, a causa dell’alterazione del valore del titolo (quel che i risparmiatori hanno comprato a 40 euro e ora vale 10 centesimi) attraverso una serie di omissioni di cui si ipotizza il dolo. Ecco quanto scrive la Procura riguardo a tutti e sette gli accusati di questo reato, i 5 sindaci (Diego Xausa, Marco Pezzetta, Michele Stiz, Martino Mazzoccato e Roberto D’Imperio) più l’amministratore delegato e il presidente della banca Vincenzo Consoli e Flavio Trinca. Il testo è un po’ lungo ma vale la pena di leggerlo:

"…Con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e più violazioni della medesima disposizione di legge, diffondendo nelle comunicazioni periodiche a Banca d’Italia, nei bilanci annuali e nelle informative al pubblico dati non corrispondenti al vero, con particolare riferimento all’ammontare del patrimonio di vigilanza in relazione alla qualità del portafoglio crediti, alla stima del sovrapprezzo delle azioni (deliberata dall’assemblea dei soci su proposta del cda ed operata sulla base di una previsione di rientro dei crediti del tutto incongrua rispetto alla qualità dei medesimi), nonché al superamento degli stress test imposti dalla vigilanza europea, poneva in essere artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni di Veneto Banca, strumento finanziario non quotato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico riponeva nella stabilità patrimoniale di Veneto Banca, le cui azioni transitavano da un valore di euro 21,25 nel 2004 ad un valore di 40,75 nel 2013 e che venivano poi rivalutate in sede di liquidazione dei soci in recesso (dicembre 2015) per un valore di euro 7,3.

I sindaci, in particolare, concorrevano mediante omissione in quanto, pur in presenza dei menzionati obblighi di legge e statutari, omettevano di prendere parte al procedimento di determinazione annuale del valore delle azioni, di verificare i procedimenti seguiti o comunque di segnalare le criticità correlate all’accentramento della relativa strategia decisionale in capo a Consoli ed al Presidente Trinca Flavio".

Come emerge da queste righe, la Procura riconosce chiaramente lo strapotere di amministratore delegato e presidente, che sul prezzo delle azioni non facevano toccare palla a nessuno, evitando di chiamare in causa sul punto gli altri dirigenti della banca. Ma la giustificazione che salva, solo per questo reato, i manager non vale per i sindaci, dal momento che il loro ruolo istituzionale è proprio quello di controllare il rispetto delle procedure previste dalla legge da parte del consiglio di amministrazione della banca.

L'asso nella manica per i piccoli risparmiatori
Se venisse confermata da una richiesta di rinvio a giudizio e da una eventuale condanna, questa sarà una carta davvero importante in mano alle decine di migliaia di risparmiatori che non hanno aderito alla proposta di transazione di Veneto Banca scaduta (insieme a quella di Popolare di Vicenza) il 28 marzo scorso e che oggi segnano sicuramente un punto a loro favore. Non solo infatti le risultanze della Procura di Roma illustrano dettagliatamente i reati ipotizzabili da parte della banca, ma mettono nel mirino anche i sindaci a cui potrebbe parimenti essere chiesto il ristoro dei danni subiti.

A esultare è soprattutto Patrizio Miatello, fondatore dell’associazione dei risparmiatori veneti Ezzelino da Onara III, nata con un forte richiamo alle radici storiche a culturali della Regione, che costituendosi nel procedimento penale (sotto la direzione dello studio legale di Rodolfo Bettiol e del tributarista Loris Mazzon) ha scommesso in solitaria sulla possibilità di ottenere il risarcimento attraverso l’inchiesta della Procura. “È un risultato che mi riempie di soddisfazione” dice Miatello a Panorama.it “perché fa crescere le speranze di tante persone che sono state private da un giorno all’altro dei loro risparmi. Inoltre ritengo che sulla base di queste risultanze il diritto di rivalsa andrà riconosciuto anche a chi ha comprato azioni prima del 2007, a cui le due banche non hanno fatto neppure la proposta di transazione”.

Questo è in realtà un punto giuridicamente assai complesso su cui circolano pareri discordanti. Restano i reati di ostacolo alla vigilanza e di aggiotaggio che la Procura ipotizza siano stati commessi, in ben 7 circostanze diverse il primo e in una circostanza il secondo. Per quel che riguarda l'ostacolo alla vigilanza, fra gli altri, c'è anche l’omessa dichiarazione degli obblighi di riacquisto di ben 900 mila azioni proprie, per un valore di 35 milioni di euro, assunti nei confronti della banca americana JP Morgan, che non si capisce se siano poi stati rispettati oppure no. Un quadro davvero inquietante, di cui questo è solo l’assaggio. Le risultanze dell'indagine occupano infatti ben 86.500 pagine, tutte consegnate all’associazione Ezzelino da Onara, in cui è probabilmente il film della folle gestione di Veneto Banca negli anni precedenti al crack.

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Stefano Caviglia