Telecom Italia la prossima preda del risiko internazionale
Economia

Telecom Italia la prossima preda del risiko internazionale

I quattro motivi per cui entro settembre il gruppo tlc cambierà profilo e magari anche azionisti

Tutti pazzi per Telecom Italia. Contrariamente ad ogni logica legata ai puri numeri di bilancio (il debito sfiora i 30 miliardi di euro ed è pari a quasi tre volte il margine operativo lordo) e nonostante le minacce delle agenzie di rating di ulteriori declassamenti, il titolo tlc sta facendo scintille in Borsa ormai da giorni. 
È ormai quasi scontato infatti che il risiko internazionale che da un paio di mesi imperversa nel settore, faccia tappa entro fine mese anche in Italia e passi dal gruppo presieduto da FrancoBernabè. Che si tratti di un ingresso nel capitale di Sawiris, come ipotizzato ieri dalla stampa, di società ricche di cassa come At&t, l'America Movil di Carlos Slim o di Vodafone, o di un rafforzamento di Telefonica, comunque vada, entro fine mese, Telecom Italia non sarà più la stessa.

Ecco il perchè in quattro punti chiave.

 1-AZIONISTI CHE PREMONO IN USCITA Oggi la partecipazione di controllo di Telecom Italia (pari al 22,4% del capitale) fa capo a Telco, veicolo societario partecipato da Telefonica (al 46,18%) e da una nutrita pattuglia di investitori istituzionali italiani (Intesa Sanpaolo all'11,62%, Generali al 30,58%, Mediobanca all'11,62%, in origine c'era anche la famiglia Benetton che poi ha desistito), scesi in campo nella rovente primavera del 2007 per difendere l'italianità del gruppo e della sua rete dalle mani di Carlos Slim.
Oggi, a sei anni di distanza, almeno due dei soci finanziari di Telecom Italia, Generali e Mediobanca, hanno già fatto sapere di voler abbandonare il campo. Intesa finora non ha preso posizioni decise sul tema. In ogni caso per nessuno dei tre azionisti bancari la partecipazione nel gruppo tlc può essere ritenuta strategica. Anzi, finora è stato solo pesante fardello da portare sulle spalle, svalutando di anno in anno la partecipazione. Se già questo scenario non bastasse a convincere gli istituzionali a prendere la porta di uscita, è bene sottolineare che ad ottobre scadrà un finanziamento da 1,05 miliardi sottoscritto da Telco e i suoi soci dovranno quindi mettere mano al portafoglio. Quanto a Telefonica, unico azionista industriale presente nel capitale di Telecom Italia, per ora prende tempo e spera di non dover tornare a investire per difendere le posizioni raggiunte (in particolare quelle in America Latina dove il gruppo spagnolo e quello italiano sono storiche rivali).

2-IL CALENDARIO Oggi gli azionisti di Telco hanno la possibilità di sfilarsi dal patto. Il vincolo infatti scade nel febbraio del 2015, ma consente ai soci di liberarsi dell'investimento entro marzo 2014 purchè la richiesta di recesso e di conseguente scissione della quota, venga inviata tra il 1° e il 28 settembre (con possibilità di estensione al 3 ottobre se la richiesta è formulata dopo il 24 settembre). Insomma è proprio il caso di dire oggi o mai più.

3- LA NECESSITA' DI NUOVE RISORSE  Telecom Italia ha bisogno di un aumento di capitale per rafforzare la struttura patrimoniale ed evitare il probabile declassamento del debito. Moody's ha recentemente messo sotto osservazione la propria valutazione del merito sul credito del gruppo con implicazioni negative. Il colosso presieduto da Franco Bernabè ha ora tempo fino a novembre per metterli al riparo. Un ulteriore taglio di Moody's porterebbe il rating un "non investment grade", junk (spazzatura), con un inevitabile aumento dei già ingenti costi di finanziamento. E Telecom non se lo può permettere. Per Equita il gruppo avrebbe necessità di 3,4 miliardi di nuovi capitali per poter ridurre il rapporto debito/margine operativo lordo a 2 volte.
Ora, le opzioni al vaglio del top management per arginare questo problema sono diverse dalla cessione delle attività brasiliane e argentine, allo spin off della rete, al taglio dei dividendi (che tuttavia, stando alle stime degli analisti, potrebbe non risultare una mossa sufficiente). Ma, la strada più facilmente percorribile nel breve tempo, è quella dell'aumento di capitale, ipotesi finora smentita dalla società. Il 19 settembre è in agenda un cda che potrebbe vagliare alcune soluzioni strategiche per il gruppo. E, come insegna la storia di Telecom Italia, mai dire mai. Una ricapitalizzazione infatti potrebbe rappresentare un valido strumento per aprire le porte ad un nuovo alleato. Oggi il mercato scommetteva di nuovo su Naguib Sawiris, il magnate egiziano che aveva già tentato lo scorso inverno di entrare nel gruppo tlc. All'epoca si diceva che volesse investire fino a due miliardi di euro per acquistare un pacchetto di titoli nuovi a valore di mercato (lo scorso dicembre il titolo si attestava a 0,7 euro). Troppo poco allora per gli azionisti di controllo di Telco. Ma si sa, le cose cambiano....

4-I TESORI DEL GRUPPO E I POSSIBILI CONQUISTATORI Oltre al debito, in Telecom Italia c'è decisamente molto di più. Ad iniziare dalle fiorenti attività in America Latina (Brasile e Argentina) che hanno attratto sei anni fa Telefonica (rivale numero uno di Telecom Italia nei due Paesi) e prima ancora di lei America Movil, il colosso messicano i Carlos Slim, che stando ai bene informati starebbe tornando a riposizionarsi su Telecom. Così come AT&T, gruppo Usa ricco di cassa che sarebbe molto interessato a rafforzarsi in America Latina. Non solo. Hutchinson Whampoa, gigante delle tlc cinesi a cui fa capo anche 3Italia (quarto operatore nella telefonia mobile sul territorio), la scorsa primavera si era fatto avanti con il gruppo di Bernabè attratto dalle attività nel mobile. Le sinergie tra i due gruppi sul territori erano fuori discussione. Ma le trattative si erano poi arenate anche a causa dello slittamento del progetto di scissione della rete telefonica (asset strategico per lo Stato che potrebbe valere intorno ai 10 miliardi di euro). 
La messa al sicuro della rete in mani italiane (o meglio in quelle della Cassa Depositi & Prestiti), avrebbe infatti favorito un'alleanza con "lo straniero". Ma anche in questo caso le situazioni evolvono. E infatti, secondo le indiscrezioni di mercato, anche i cinesi sarebbero tornati a guardare Telecom Italia. In questo scenario, Vodafone che ha appena incassato 130 miliardi dal divorzio da Verizon (in Verizon Wireless), potrebbe avere delle mire sia sulle attività italiane (d'altro canto il gruppo inglese è il secondo operatore nel Paese), sia su quelle in America Latina, tra i pochi posti al mondo non ancora raggiunti dalla società guidata da Vittoro Colao.

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Cinzia Meoni