Start-up, ecco gli strumenti per farcela
Economia

Start-up, ecco gli strumenti per farcela

Fernando Napolitano, fondatore e presidente di Italian Business&Investment Initiative, spiega come anche in Italia si possa fare impresa. Da zero. Con chi sa come far nascere, crescere e sviluppare un'idea di business

“Il nostro paese ha bisogno di internazionalizzarsi professionalmente”. Fernando Napolitano, fondatore e presidente della Italian Business & Investment Initiative , piattaforma per la connessione e la realizzazione di business a cavallo tra Stati Uniti e Italia, non ha dubbi.

Cosa vuol dire "professionalmente"?
Siamo un paese di esportatori, soprattutto nella manifattura, ma non basta perché oggi fare impresa non deve essere solo sinonimo di fare industria. L'economia cambia e con essa gli scenari. Il problema che abbiamo è che la nostra espansione professionale mira a sfruttare altri mercati in maniera permanente solo in alcuni settori e solo in presenza di rappresentanti o di un distributore. Le opportunità di business, come dimostra il caso di eccellenza italiano Luxottica, sono ben più ampie.

Quindi, cosa bisogna fare?
Il mercato americano è competitivo e complesso perché i suoi canali di distribuzione sono grandi e sofisticati. C’è bisogno di capitale umano qualificato per pensare di diventare “big” e un’azienda può farlo solo se ha un management capace. Anche nelle start up i pezzi più importanti della catena di valore sono rappresentati dal materiale umano, che è il motivo per il quale organizziamo eventi, come quello presso la Bocconi di Milano , dove studenti, startupper, venture capitalist, investitori ed imprenditori possono incontrarsi e creare sinergie.

Ma questa catena da dove ha inizio?
Una grande chance per creare impresa in campo tecnologico è il programma Fulbright Best , che consente ad alcuni dei nostri migliori “innovatori” di andarsi a formare per mesi negli Stati Uniti immergendosi in un programma di studio per imparare come si fa impresa nelle grandi start-up della Silicon Valley o della costa orientale.

Sempre America. L’Italia non riesce proprio a essere competitiva in questo settore?
In realtà siamo pronti anche noi. In Italia oggi se vuoi creare impresa nell’Hi-Tech hai i programmi Fulbright Best o Mind the Bridge per imparare a farlo al meglio all’estero e tornare con un modello operativo ben chiaro. Il secondo step consiste poi nel seguire i giovani imprenditori e le loro idee di business al momento del rientro. È in questa direzione che nasce la partnership con Intesa Sanpaolo, il fondo Innogest o Mind the Seed, organizzazioni che servono a fornire l’aiuto necessario perché le aziende appena nate vengano sviluppate al massimo delle loro potenzialità. Le migliori, poi, saranno selezionate per essere presentate a investitori americani attraverso uno specifico network come Italian Business & Investment Initiative.

Così si combinano al meglio il mercato italiano e quello americano...
Esatto. Dall’Italia arrivano le competenze e la genialità, dagli Usa il mercato unico e grande, insieme alla flessibilità e la liquidità finanziaria. Non bisogna dimenticarsi che i fondi di venture capital, o capitale di rischio, sono lì a scommettere non per beneficenza ma perché vogliono investire dei soldi per guadagnarne molti di più.

Vuole convincerci che ci sono gli strumenti in Italia per fare start-up...
Li abbiamo  tutti per chi vuole fare impresa ed avere  successo. Non ci sono più scuse. Il governo ha fatto alcune riforme e  varato sgravi fiscali che sono utili e farà di più. Ma non si può certo aspettare che sia il Governo a far fare i soldi agli imprenditori. Serve cultura e visione. Ne è un esempio  l’italiana Glancee, start up che quest’anno è stata acquisita  da Facebook .

Si chiude così un cerchio. Ma non ci sono aziende italiane interessate ad accelerare le nostre start-up per poi acquisirle?
Qualcosa comincia a muoversi. In questo quadro Enel lab, che accelera le start-up del settore energetico per poi comprarle, è un ottimo esempio di come una grande azienda vede nella formazione all’estero e nell’iniziale sprint fornito da banche e fondi a nuove idee imprenditoriali, una risorsa per il proprio core business.

Questo aiuta a vedere un lato positivo nella crisi generale?
Se proprio vogliamo cercare un lato positivo della crisi è nel fatto che le piccole e medie imprese stanno capendo che devono consentire ad altri imprenditori di entrare nel capitale “di famiglia”. È una grande opportunità perché si tratta di capitale umano qualificato, in grado di innovare. Fino ad oggi le aziende hanno spesso evitato di portare all’interno un management forte mettendosi in filiera e costituendo i cosiddetti "distretti industriali". Oggi si rendono conto che si tratta di un modello superato.

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Nathania Zevi