Mps: cinque cose da sapere dopo gli stress test
Carlo Ferraro/Ansa
Economia

Mps: cinque cose da sapere dopo gli stress test

La banca ha una settimana di tempo per tracciare un piano per trovare 2,1 miliardi di euro e 9 mesi per metterlo in pratica

Il presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo, con l'ad Fabrizio Viola (credits: Carlo Carino/Imagoeconomica)

Una settimana per scrivere un piano con cui trovare 2,1 miliardi di euro e 9 mesi per metterlo in pratica. Questa la "mission impossible" per Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, il duo alla guida di Banca Mps dal 2012, rispettivamente nel ruolo di a.d. e presidente, dopo la clamorosa bocciatura ai test della Bce, che dal 4 novembre assumerà la vigilanza su Rocca Salimbeni e altre 130 grandi banche europee (15 sono italiane). Ma la strada è in salita. Lo spieghiamo di seguito in cinque punti.

Il crollo del titolo a Piazza Affari

La scultura di Maurizio Cattelan a Piazza Affari, sede della Borsa italiana

Sergio Oliverio / Imagoeconomica

Il titolo Banca Mps è in caduta libera in borsa dopo la bocciatura ai test di Francoforte. Un’azione valeva 1 euro venerdì 24 ottobre, prima della comunicazione degli esami, domenica 26 ottobre.

Lunedì il prezzo è crollato del 21% a 0,78 euro, dopo numerosi stop al ribasso e il divieto della Consob alle vendite allo scoperto sui titoli di Siena per cercare di fermare la speculazione. E nelle sedute ha continato a scendere fino a toccare un nuovo minimo storico giovedì a 0,67 euro (-7%).

In soli quattro giorni dall'esito degli stress test il titolo ha perso il 33%: ora Mps vale poco più di 3 miliardi. Per un confronto, nell'aumento di capitale da 5 miliardi di giugno le azioni erano state offerte a un 1 euro, lo stesso valore di venerdì scorso. Pesano le incertezze sul piano per colmare il deficit di capitale: non è escluso alcuno scenario, dal rinvio del rimborso degli aiuti di Stato a una fusione con una grande banca.

L’ammanco di capitale

La sede della Bce a Francoforte

Ansa

La banca senese entro il 10 novembre dovrà presentare alla Bce un piano di rientro per il deficit di capitale di 2,1 miliardi di euro emerso dagli stress test.

Il top management di Siena si aspettava una sottocapitalizzazione di qualche centinaia di milioni, ma non certo una tegola a nove zeri, che renderà del tutto impossibile ricorrere a un nuovo aumento dopo quello da 5 miliardi varato negli scorsi mesi.

La cifra da recuperare sul mercato, tuttavia, potrebbe essere inferiore (1,3 miliardi di euro), come ha fatto notare Bankitalia, se non si tiene conto dell'impegno assunto dalla banca di restituire gli aiuti di Stato ricevuti sotto forma di Monti bond, gli strumenti subordinati convertibili in azioni emessi dall'istituto senese nel 2012 e sottoscritti dal Tesoro per rafforzare il Core Tier 1 della banca (1,1 miliardi di euro ancora in pancia all'istituto, di cui 750 milioni entro il 2016).

Ma anche se la banca ottenesse il via libera dalle autorità europee a questa operazione, la banca per trovare la cifra necessaria a rimettersi in carreggiata (1,5 miliardi secondo Equita SIM) dovrebbe emettere un bond convertibile da circa 1 miliardo, vendere parte del portafoglio investito in titoli di Stato e varare un aumento di capitale vero e proprio.



Le 5 mosse per evitare un nuovo aumento

L'ingresso di Mediobanca, in piazzetta Cuccia a Milano.

Eppure una strategia per evitare un nuovo aumento di capitale da oltre 2 miliardi ci sarebbe. A individuarla, sono stati gli analisti di Mediobanca.

Cinque le cartucce a disposizione per il duo Profumo - Viola. Eccole: far slittare il rimborso dei Monti bond oltre la scadenza del 2016 per circa 800 milioni di euro; tagliare del 10% gli asset ponderati per il rischio; farsi riconoscere dalla Bce 260 milioni di euro di accantonamento sui crediti; vendere le divisioni specializzate nel credito al consumo (consum.it) e nel leasing e le filiali estere; cedere l’esposizione al debito sovrano italiano.

L’ipotesi di fusione

La nuova sede di Unicredit a Milano

SERGIO OLIVERIO / Imagoeconomica

Una fusione con una banca più forte, magari straniera sulla scia di quanto fatto da BNL con BNP Paribas. Sarebbe la soluzione caldeggiata da Bankitalia che metterebbe però a rischio l’indipendenza di Siena, ponendo fine all’autonomia dell’istituto di credito più vecchio del mondo, che dura da oltre 500 anni. Un’ipotesi che anche il presidente Alessandro Profumo non ha escluso.

In Italia i nomi che si sono fatti sono UniCredit, che si è chiamata già fuori, UBI Banca, per la quale "non ci sono dossier aperti", e Intesa Sanpaolo, che però in Toscana avrebbe problemi di sovrapposizioni.

Più probabile, quindi, l’ingresso di un partner estero. In questo caso i nomi circolati in questi giorni sono BNP Paribas, che in Italia già controlla BNL, la banca che, ancora in mani italiane, tentò la fusione con Siena nel 2005 - 2006, Crédit Agricole (che controlla il gruppo Cariparma), o la spagnola Santander, lo stesso gruppo da cui Siena acquistò a caro prezzo (9 miliardi) Antonveneta.

Ad oggi i principali azionisti di Mps, accanto alla Fondazione, sono il fondo americano York Capital Management, il fondo messicano Fintech Advisory, la brasiliana Btg Pactual, le assicuraizoni francesi Axa, la banca svizzera Ubs e il colosso dei fondi BlackRock.

Nazionalizzazione: la parola tabù

Ministero del Tesoro-Credits: Imagoeconomica

L’a.d. Fabrizio Viola ha "escluso in modo categorico" il ricorso a nuovi aiuti di Stato e anche il Tesoro spera in "ulteriori operazioni di mercato". Tuttavia, resta ancora in campo l'ipotesi di un intervento diretto dello Stato, che, in questo caso, diverrebbe il primo azionista di Rocca Salimbeni con una quota del 30%, se esercitasse l'opzione che prevede la conversione in azioni dei Monti bond, stando agli attuali prezzi di Borsa.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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